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PG 21 - Chieti

Autore/i della scheda: Costantino Di Sante

Adunata dei prigionieri di guerra al campo di concentramento n. 21 di Chieti - Archivio AUSSME, Fototeca 2 Guerra Mondiale Italia 507/649

Dati sul campo

Comune: Chieti

Provincia: Chieti

Regione: Abruzzo

Ubicazione: Chieti Scalo - Chieti

Tipologia campo: concentramento

Numero convenzionale: 21

Numero di posta militare: 3300

Campo per: ufficiali

Giuristizione territoriale: IX Corpo d'Armata

Scalo ferroviario: Chieti

Sistemazione: accantonamento

Capacità: 1000

In funzione: da 07/1942 al 09/1943

Comando/gestione del campo: Mario Barela (luglio – settembre 1942); Tenente Colonnello Giuseppe Poli (ottobre – dicembre 1942); Colonnello Giuseppe Massi (gennaio – settembre 1943)

Cronologia:
Agosto 1942 arrivano i primi prigionieri alleati.
Settembre 1942 con oltre 1600 prigionieri il campo è sovraffollato.
14 settembre 1942 protesta di massa da parte dei prigionieri.
20 febbraio 1943 un gruppo di prigionieri viene inviato a lavorare nelle miniere presso il distaccamento di Acquafredda di Roccamorice (PE).
21 settembre 1943 i tedeschi occupano il campo.
23 settembre 1943 iniziano le deportazioni dei prigionieri alleati verso la Germania.

Presenza dei prigionieri alleati nel campo di Chieti

Data Generali Ufficiali Sottufficiali Truppa TOT
1.9.1942 1233[1] 8 248 1489
30.9.1942 1343[2] 8 249 1600
31.10.1942 992[3] 8 240 1241
30.11.1942 984[4] 8 248 1240
31.12.1942 966[5] 8 249[6] 1223
31.1.1943 985[7] 11[8] 261[9] 1257
28.2.1943 1002[10] 11[11] 261[12] 1274
31.3.1943 964[13] 11[14] 321[15] 1296
30.4.1943 1063[16] 14[17] 257[18] 1344
31.5.1943 1041[19] 14[20] 2687[21] 1342
30.6.1943 1074[22] 20[23] 288[24] 1382
31.7.1943 1117 1117
31.8.1943 961[25] 42[26] 319[27] 1422
[1] Di cui un americano. [2] Di cui 2 americani. [3] Ibidem. [4] Di cui 7 americani. [5] Di cui 12 americani. [6] Di cui un americano. [7] Di cui 26 americani. [8] Di cui 3 americani. [9] Di cui 19 americani. [10] Di cui 39 americani. [11] Di cui 3 americani. [12] Di cui 19 americani. [13] Di cui 61 americani. [14] Di cui 3 americani. [15] Di cui 19 americani. [16] Di cui 66 americani. [17] Di cui 3 americani. [18] Di cui 19 americani. [19] Di cui 92 americani. [20] Di cui 3 americani. [21] Di cui 19 americani. [22] Di cui 125 americani. [23] Di cui 6 americani. [24] Di cui 19 americani. [25] Di cui 195 americani. [26] Di cui 11 americani. [27] Di cui 19 americani.

Storia del campo

Nella primavera del 1942 la difficoltà di trovare i materiali e delle aree idonee dove poter costruire nuovi campi di concentramento per ospitare i prigionieri nemici appena catturati sul fronte libico, costrinse sempre di più l’Ufficio prigionieri di guerre dello Stato Maggiore dell’Esercito a trovare delle strutture già esistenti adatte ad essere riutilizzate a tale scopo. Degli stabili utili ad essere trasformati in un campo, nonostante alcune perplessità per la vicinanza della stazione ferroviaria e la via Tiburtina, furono individuati a Chieti Scalo.
Quelle che venivano indicate come le “casermette funzionali” erano state costruite dalla ditta Odorisio per conto del Ministero della guerra tra il 1937 e il 1938. Destinate ad ospitare il 14° Reggimento di Fanteria, con lo scoppio del conflitto erano rimaste inutilizzate. Nella primavera del 1942 i suoi 17mila metri quadri e i 120 vani, ripartiti in diverse “casermette” in muratura, furono riadattate per poter accogliere gli ufficiali nemici.
Capace di poter ospitare fino a 1.000 prigionieri entrò in funzione nel luglio 1942 e due mesi dopo ospitava già 1.600 prigionieri britannici, dei quali 1.200 britannici e 386 sudafricani.
Nonostante alcuni trasferimenti il campo rimase sempre sovraffollato e, secondo l’ispettore della Croce Rossa Internazione, la mancanza di alcuni arredi e l’acqua insufficiente lo rendevano inadatto per poter ospitare degli ufficiali. Nonostante alcune denuncie anche da parte del delegato della potenza protettrice, alcuni problemi rimasero irrisolti anche dopo diversi mesi dalla sua apertura.
In un rapporto del dopoguerra, stilato dal capitano C. Napier Cross sulle condizioni di vita del campo 21, viene denunciato che:

La situazione sanitaria era totalmente inadeguata: le latrine, per modo di dire, non avevano lo sciacquone e la puzza era spaventosa. Dovevamo usarle a turno per riuscire a vivere nella stanza più vicina. L’acqua era pochissima. Il cibo era scarsissimo. La razione di pane degli ufficiali era di 100 grammi al giorno, ad esempio un panino (i soldati avevano 200 grammi perché lavoravano), due pezzetti di formaggio e un pezzetto di carne a settimana, più un mestolo di brodaglia due volte al giorno. I pacchi della Croce Rossa erano distribuiti di tanto in tanto: sono certo che li depredavano regolarmente. Per quanto riguarda il vestiario, era proprio crudele indifferenza. Per tutto il tempo che sono stato là, anche durante l’inverno più profondo, quando il freddo era più intenso, sono stato lasciato con il mio soprabito da deserto, una maglietta, un paio di pantaloncini e scalzo, perché i miei stivali si erano consumati. Nel campo non c’era riscaldamento. Avevamo una coperta per la notte e dovevamo andarcene in giro con questa addosso anche di giorno. Anche un colonnello del mio reggimento, che era con noi, era scalzo. Di conseguenza, dilagavano malattie di ogni tipo: dissenteria, itterizia, piaghe e malattie della pelle, e tutte le conseguenze della malnutrizione e dell’esposizione agli agenti atmosferici.


Nella primavera del 1943, tranne alcune stufe che erano state messe per riscaldare i dormitori, poco o nulla si era fatto per porre rimedio alle inefficienze e per migliorare le cattive condizioni del campo tant’è che i delegati della potenza protettrice erano intenzionati a chiederne la chiusura.
Il campo rimase invece attivo e solo alcune attività ricreative riuscivano a distrarre i prigionieri dalle difficoltà che dovevano quotidianamente affrontare. Una di queste era la redazione del giornale intitolato “Chieti News Agency” o più semplicemente “CNA”, il cui ideatore fu il maggiore Gordon Lett. Anche grazie all’organizzazione di alcuni spettacoli teatrali e musicali da parte di alcuni artisti imprigionati nel campo, si cercò di sollevare l’umore dei prigionieri.
Anche il comportamento delle guardie e dei comandanti furono alquanto discutibili. Dopo l’ennesima angheria perpetrata nei confronti dei prigionieri con le guardie che continuavano a manomettere i pacchi della Croce Rossa, il 14 settembre 1942 si ebbe una protesta di massa. I prigionieri si rifiutarono di obbedire agli ordini e inscenarono un sit-in sedendosi nel piazzale d’appello del campo. Il comando diede ordine alle guardie di innestare le baionette e circondarli. Vista l’irremovibilità dei prigionieri il comandante Barela decise di accordarsi con il rappresentante dei prigionieri concedendo che da quel momento in poi i prigionieri avrebbero obbedito solo agli ordini del proprio superiore diretto. Non è chiaro se anche a causa della protesta, il comandante Berela verrà sostituito dal Tenente Colonnello Giuseppe Poli.
Anche con la nuova direzione alcuni soprusi rimasero in voga, come quello di ordinare degli appelli notturni costringendo i prigionieri a stare in piedi, anche in inverno con la neve, per ore.
Al termine del conflitto i comandanti del campo e alcuni loro stretti collaboratori, in particolare il capitano Mario Croce, furono denunciati per atti di brutalità. Non riuscendo a trovare delle prove e dei testimoni, molti dei quali erano irreperibili o deceduti, nel maggio 1946 furono tutti prosciolti.
Nonostante l’attenta e rigida sorveglianza nel settembre 1942 si verificarono due fughe. La prima con un ufficiale che si erano nascosto dentro un camion di frutta, ma fu visto e subito ripreso appena fuori dal campo. Mentre il 14 dello stesso mese il tenente Joseph Farrell riuscì a fuggire indossando un’uniforme italiana. Dopo aver rubato una bicicletta arrivò alla stazione di Pescara dove prese un treno riuscendo ad arrivare fino a Parma dove fu catturato e riportato a Chieti. Nella primavera-estate i prigionieri del campo 21 riuscirono a scavare ben quattro tunnel ma, pur essendoci dei professionisti delle fughe, sembra che nessuno riuscì a scappare prima dell’8 settembre 1943.
Nel febbraio 1943 un gruppo di prigionieri fu inviato a lavorare nelle miniere gestite dalla Ditta Alba presso il distaccamento di Acquafredda di Roccamorice (PE) dipendente dal campo n. 78 di Sulmona.
Subito dopo l’armistizio gran parte delle guardie italiane scappò. A presidio del campo rimase il comandante, una ventina di ufficiali e 30 soldati, che avevano minacciato di sparare ai prigionieri se avessero tentato di evadere. Anche a causa dell’ordine dato dal Senior British Officer, il tenente colonnello Bob Marshall, ritenendo che gli alleati sarebbero presto arrivati a liberare la zona e temendo che una fuga di massa potesse provocare la reazione dei tedeschi, proibì ai suoi uomini di fuggire. Solo il 18 settembre alcuni prigionieri iniziarono a scappare utilizzando i tunnel precedentemente scavati. Il 21 seguente arrivarono i tedeschi che lo occuparono. Il 23 cominciarono a trasferire i prigionieri al campo n. 78 di Sulmona (AQ) e da lì in Germania. Anche se diversi riuscirono poi a dileguarsi durante il viaggio, la maggior parte dei prigionieri del campo 21 finì nei lager del Reich.
Nei mesi successivi, la struttura fu utilizzata dai tedeschi anche come campo di transito per gli ebrei, i renitenti alla leva e i resistenti rastrellati nella provincia di Chieti e a ridosso della linea Gustav.
Quando la provincia fu liberata, nelle “casermette funzionali” vi trovarono un primo alloggio i profughi che avevano affollato la Città di Chieti durante l’occupazione nazifascista. Nel dopoguerra, una volta ristrutturata, la caserma fu destinata prima a Centro Addestramento Reclute (C.A.R.), per poi essere intitolata all’ufficiale degli alpini, medaglia d’oro al valor militare, “Enrico Rebeggiani”. Dopo essere stata la sede del II Battaglione Allievi Carabinieri Ausiliari, attualmente ospita il Centro Nazionale Amministrativo dell’arma dei carabinieri.

Fonti archivistiche

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