Norman Charles Johnson
WO 208/3315/8
Il tenente Johnson, un venditore di cotone residente nel Cheshire (una contea del nord-ovest dell’Inghilterra, tra Liverpool e Manchester) viene catturato dai tedeschi, come moltissimi altri prigionieri poi finiti in Italia, durante la campagna del Nord Africa, per la precisione a Medjez-el-Bab nella Tunisia settentrionale, alla fine di novembre 1942. Subito, viene portato a Tunisi ed interrogato e, il 28 novembre, viene trasferito con altri prigionieri a Palermo, dove il gruppo viene alloggiato in un fienile. Il giorno successivo, vengono spostati a Napoli dove gli italiani li rifocillano e quindi a Capua, dove arrivano al PG 66 il 30 novembre.
La permanenza di Johnson in questo campo non è lunga. Il 18 marzo 1943 viene infatti spostato al PG 21 di Chieti, dove entra a far parte della «fighting squad» un gruppo di ufficiali che avrebbero dovuto tenersi pronti ad agire nel caso in cui i tedeschi avessero tentato di prendere il controllo del campo. Tuttavia, le misure di sicurezza dei prigionieri non sono ferree: «[la lista degli ufficiali] fu perduta (o rubata dagli italiani) e per questo motivo io ed altri ufficiali sulla lista fummo trasferiti al campo 19 (Bologna), il 4 agosto».
In tutto, durante il trasferimento di Johnson, vengono spostati ben 100 ufficiali dagli italiani:
Sedevamo in carrozze di seconda classe, nudi fino alla cintola per tutto il viaggio. Le guardie non consentirono di aprire i finestrini, i quali erano stati chiusi fermamente, ma ci portarono dell’acqua ad alcune fermate. Restammo sul treno dalle 7 fino alle 16:30.
Ormai, però, l’Armistizio è alle porte e Johnson trascorre poco più di un mese nel PG 19. La sera dell’8 settembre, Johnson apprende direttamente dal comandante del campo, il Colonnello Aldo Magagnoli, della firma dell’Armistizio. Dopo una discussione tra Magagnoli ed il British Senior Officer, il Brigadiere Mountain, il primo acconsente al taglio di alcune porzioni della recinzione del campo. Infine, Magagnoli dichiara che avrebbe rilasciato tutti i prigionieri la mattina del giorno successivo. Anche se questo non sembra rassicurare Johnson, il quale rimarca come «l’atteggiamento [di Magagnoli] era evasivo e non soddisfacente, nonostante le pressanti rimostranze fattegli dal Brigadiere Mountain».
In effetti, Magagnoli non doveva avere il completo controllo della situazione, perché alle 4:30 del 9 settembre, Johnson viene svegliato da un altro ufficiale Alleato, il quale gli comunica che i tedeschi sono ormai giunti al campo.
Afferrammo i nostri pacchi di cibo e scattammo verso il cancello all’angolo nord-est del campo – dovevamo essere circa 200 in tutto. Chiesi ad un soldato italiano se ci fossero tedeschi all’esterno. Rise e mi disse “no”. Gli chiedemmo di darci la chiave, ma si rifiutò. A questo punto apparve il Brigadiere Mountain, il quale ordinò al soldato di consegnare la chiave, cosa che fece. Fu aperto il cancello e sgusciammo fuori. Quando un certo numero di noi fu all’esterno, i tedeschi, che erano rimasti appostati lì tutto il tempo, aprirono il fuoco, ferendo due ufficiali lievemente ed un terzo gravemente, il Capitano P.O. Johnson, il quale sarebbe poi morto in ospedale. I tedeschi ci radunarono nuovamente dentro il campo, e ne assunsero il controllo.
L’episodio però non scoraggia Johnson ed i suoi compagni, i quali iniziano subito ad ingegnarsi per fuggire. Ben presto, Johnson viene informato che l’11 settembre sarà il suo turno di scappare, appendendosi all’asse posteriore di un camion usato per il trasporto delle razioni nel campo (dopo che due altri ufficiali già erano riusciti nel tentativo). Tuttavia, sfortunatamente, i tedeschi decidono di spostare i prigionieri proprio quel giorno e Johnson, il quale evidentemente non voleva demordere, riesce a trovare rifugio in una mansarda al di sopra di uno dei dormitori insieme ad altri sei ufficiali.
Alle 14:30 dell’11 settembre, udimmo i veicoli tedeschi allontanarsi dal campo con i nostri compagni a bordo. Penso ci fossero circa 60 ufficiali nascosti nel campo. Dei soldati tedeschi più tardi entrarono nella stanza sotto di noi e li sentimmo saccheggiare i nostri averi. Restammo lassù fino alle 3:30 del 13 settembre, quando il mio gruppo – il tenente Ferguson, il capitano Spooner e io – scendemmo lungo la scala fatta di lenzuola e ci dirigemmo verso il retro del campo, portando i nostri kit per la fuga.
I tre scavalcano il muro di cinta e riescono a sgusciare all’esterno attraverso uno dei varchi aperti nella recinzione dagli italiani qualche giorno prima. Avanzando tra i cespugli, Johnson e i suoi compagni incontrano gli altri quattro ufficiali con cui avevano condiviso il nascondiglio nel campo, anche loro divenuti ora fuggiaschi: il Capitano MacGowan, il Capitano Bennet, il Capitano Fitzpatrick ed il Capitano Anderson. I quattro sono in compagnia di due ragazzi italiani, i quali avevano fornito loro abiti civili. All’arrivo di Johnson, Ferguson e Spooner, i due ragazzi si allontanano, per poi tornare nuovamente con un cambio d’abito anche per loro. Alle 20:00 il gruppo si divide: MacGowan e gli altri partono, mentre Johnson resta nascosto con i suoi compagni fino alle 23:00, quando anche loro si allontanano dal loro nascondiglio tra i cespugli. La loro marcia prosegue verso est, aiutati dalla popolazione locale:
Ci dirigemmo verso est per circa cinque miglia, e riuscimmo ad avere del cibo da una casa verso mezzanotte. […] Ci allontanammo, ancora verso est, ma ben presto ci fermammo ad un’altra casa e chiedemmo del cibo, spiegando che eravamo ufficiali britannici. La donna nella casa ci suggerì di prendere un treno dalla stazione che si trovava a due miglia di distanza su quella strada, visto che molti soldati italiani si stavano dirigendo a sud.
I tre giungono quindi nei pressi della stazione, probabilmente a San Lazzaro di Savena, e Johnson va in esplorazione, scoprendo che effettivamente c’è un treno diretto a sud che sta per partire. I suoi due compagni, però, «non erano pronti a correre il rischio di viaggiare con un treno, decisi quindi di lasciarli e procedere da solo».
Johnson sale dunque sul treno che lascia la stazione alla mezzanotte del 14 settembre, passando per Rimini ed Ancona. A pochi kilometri da Pescara, Johnson ha nuovamente a che fare con gli italiani:
Un soldato italiano mi scosse e mi chiese dove fossi diretto. In precedenza, avevo finto di dormire. Finsi di essere sordo e lento, ma più tardi lo stesso italiano insistette e capii che mi aveva preso per un tedesco. Rivelai quindi la mia identità. Mi chiese cosa intendessi fare e [aggiunse che] se stavo provando ad andare a Città del Vaticano questa era una follia, perché Roma era stata completamente circondata dai tedeschi.
Uniti dalla stessa necessità, sfuggire ai tedeschi, si crea un legame tra Johnson e i soldati italiani sbandati nel suo vagone. Quando il treno infine giunge a Pescara, i passeggeri si rendono conto che la banchina brulica di tedeschi; perciò, «io e gli altri passeggeri del vagone ci arrampicammo fuori dai finestrini e attraversammo le rotaie […]». Il gruppo, la cui dimensione non è nota, marcia da Pescara fino ad Ortona, dove Johnson ed altri riescono ad imbarcarsi su un altro treno, con l’intenzione di arrivare a Foggia, poiché i fuggiaschi avevano appreso che la città era nelle mani dei britannici. «A causa di un malinteso finimmo a Torremaggiore, [ma] ci fu poi detto come arrivare correttamente a Foggia». A questo punto della sua fuga, Johnson ha come compagni due soldati italiani.
Tuttavia, giunti a Foggia (intorno al 16 settembre) i tre scoprono che la città è ancora occupata dai tedeschi e decidono quindi di puntare ancora più a sud, verso Bari. Una delle tappe è la cittadina di Orta Nova, dove Johnson ed i suoi compagni si separano. Gli italiani preferiscono non rischiare e restare nascosti nella zona, aspettando l’arrivo degli Alleati, mentre Johnson vuole proseguire verso sud.
Poiché i miei piedi erano coperti di vesciche e i miei stivali si erano sfaldati, sapevo che mi sarebbe stato impossibile camminare oltre quel giorno. Avvistai un italiano e gli spiegai la mia situazione. Fu comprensivo e mi portò a casa sua, mi diede da mangiare e mi fece riposare in un letto. A quel punto aveva perso il conto dei giorni, ma penso fosse il 23 settembre.
Johnson resta con il suo protettore fino al 25 settembre, nascosto tra i cespugli all’esterno durante il giorno e dormendo nella casa durante la notte. Proprio nella notte del 25 settembre, il suo ospite affida Johnson ad uno dei suoi lavoratori, il quale lo nasconde in casa sua per la notte. «Era un costruttore di bare ed era pronto a nascondermi tra le casse da morto in caso di perquisizione».
Al mattino del 26 settembre, sua moglie arrivò correndo nella stanza, urlando “I britannici sono qui!” Provai a farla calmare, pensando fosse una trappola per attirare i prigionieri fuori dalle case, ma si catapultò fuori dalla porta gridando: “C’è un ufficiale britannico qui!” Una folla si radunò nella casa. Fui abbracciato da uomini e donne. Udii degli spari e mi preparai a svignarmela, ma erano solo italiani sovreccitati che sparavano in aria. Un ragazzo portò due pistole cariche e me ne offrì una. Un altro ragazzo apparve poco dopo portando con sé un sergente inglese, e fui portato al quartier generale dell’avanguardia ricognitori della 78ª divisione.
Il 28 settembre, Johnson è già a Taranto, dove viene ricoverato in ospedale. Soffre di bronchite e miopia. Il 4 ottobre viene spostato con un volo all’ospedale di Catania e da lì subito ad Algeri. Il 16 ottobre 1943, Johnson può rientrare nel Regno Unito, a Bristol, passando per Gibilterra.
Campi legati a questa storia
Bibliografia/Fonti
TNA WO 208/3315/8, M.I.9/S/P.G.(-) 1468: Name: Norman Charles Johnson , Lieutenant, 149296., 2nd Battalion Lancashire Fusiliers. Place captured: Medjez-El-Bab, 25 November 1942. Arrived in UK: 16 October 1943.