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Raymond D. Andrew

Raymond, un neozelandese, combatte le truppe dell’Asse in Egitto e poi in Grecia, prima di essere catturato nel deserto libico vicino a Sidi Rezegh il 30 novembre 1941, durante la Operation Crusader. «Per te, amico, la guerra è finita» gli dicono i tedeschi che lo avevano catturato. I prigionieri sono fatti marciare fino alle posizioni italiane: «i tedeschi […] ci spiegarono […] quasi scusandosi, che sebbene fossimo stati catturati da tedeschi, ci trovavamo in territorio italiano, quindi eravamo prigionieri degli italiani». Gli italiani li perquisiscono, confiscando tutti i loro averi, ma Raymond riesce a nascondere il suo orologio dentro gli stivali. Dopo un viaggio in camion, arrivano alla loro prima destinazione, una stalla per cammelli a Buq Buq, 150 Km a est di Tobruk. Vengono poi spostati in un campo nel deserto, uno spiazzo delimitato dal filo spinato. Il cibo è poco e l’acqua ancora più scarsa. Poi, i prigionieri sono nuovamente trasferiti, questa volta a Derna dove, perlomeno, sono alloggiati in tende. Infine, vengono portati a Bengasi. Anche qui, i prigionieri soffrono la fame, la sete e la mancanza di servizi igienici. Il 21 dicembre Raymond e i suoi compagni sono imbarcati su una nave che li porta a Tripoli, dove restano fino al 27, quando vengono nuovamente imbarcati, stavolta per andare in Italia. Raymond passa un mese nel PG 66 di Capua e quindi viene trasferito al PG 52 di Chiavari il 1 febbraio 1942. Infine, nell’estata del 1942, i prigionieri vengono informati che si stanno cercando volontari per lavorare in campagna: «l’idea di ricevere cibo extra, appaiato a un po’ di esercizio fisico, era invitante per molti di noi. Per troppo tempo eravamo rimasti a marcire e patire la fame negli spazi ristretti del campo». Raymond decide di accettare, e viene trasferito al PG 107 di Torviscosa, in provincia di Udine.

La vita in questo campo è migliore che nei precedenti, anche se gli spazi sono sempre stretti. Perlomeno ora i prigionieri possono mangiare regolarmente: «durante questo periodo i nostri corpi indeboliti riguadagnarono le forze. Perfino l’acqua ore era disponibile in abbondanza. L’esercizio fisico dovuto al lavoro, il cibo extra e il glorioso bel tempo accelerarono il nostro ritorno in forze e l’innalzamento del morale». Il lavoro consiste in opere di bonifica per preparare i terreni alle coltivazioni. I prigionieri, in ogni caso, fanno del loro meglio per lavorare il meno possibile:

La politica dell’andar piano fu adottata fin dal principio. Appoggiarsi alle vanghe era all’ordine del giorno. Scoprimmo presto che fintanto che ci si muoveva i sorveglianti civili erano soddisfatti e non urlavano o sproloquiavano. Appena si giravano, comunque, il lavoro si arrestava. […] I manici delle vanghe erano in pioppo, informi e precari. Ogniqualvolta ci si stancava di spostare le zolle, era facile spezzarli. […] Il lavoro delle guardie era evitare le fughe, e non badavano molto al fatto che i prigionieri lavorassero o meno. […] Al primo segno di pioggia gli uomini gridavano “Tromba, Tromba” [le guardie usavano una tromba per segnalare la fine della giornata di lavoro]. Le guardie, che avevano il compito monotono di starsene in piedi tutto il giorno, erano ben felici di riaccompagnarci al campo e essere sollevate dai loro incarichi.

A interrompere la monotonia della vita nel campo, c’è anche il contatto con i civili della zona, che si sviluppa presto in una vera e propria borsa nera.

L’annuncio dell’armistizio, l’8 settembre 1943, comporta l’immediata sospensione dei lavori nel campo, anche se ai prigionieri viene detto di non allontanarsi. «Fu un periodo di indecisione sia per le guardie che per i prigionieri. Sembrava tutti stessero facendo le valige per andarsene in un modo o nell’altro. I miei amici [Sol e John] e io decidemmo di andarcene se fosse stato possibile». Alla fine, il gruppo di Raymond esce dal campo senza incontrare resistenza: «una fuga per niente eroica, semplicemente ce ne uscimmo!»

Il primo problema è trovare un posto dove stare. I fuggiaschi passano la notte nascosti dentro delle fascine di canne di mais appena raccolte. Da questa posizione assistono al disfacimento dell’esercito italiano:

Sbirciando dal nostro nascondiglio fummo turbati nel vedere file di soldati italiani che marciavano attraverso la campagna. Cosa stavano facendo? Eravamo in pericolo? Raccogliendo il coraggio Sol, il nostro italianista, avvicinò un gruppetto che arrancava lentamente nelle vicinanze. Tornò dicendo che erano i soldati dal fronte nord che tornavano a casa. Non c’erano trasporti per loro ed erano interessati solo a tornarsene a casa il prima possibile. Per quanto li riguardava la guerra era finita e non erano interessati a dei prigionieri fuggiaschi.

I fuggiaschi raggiungono un villaggio, dove vengono accolti e sfamati. «Le nostre truppe si stavano comportando bene a sud e sembrava fosse imminente anche la conquista del nord. Piuttosto che attraversare tutta l’Italia e tentare di passare il fronte, ci sembrò più conveniente tenerci fuori dai guai e aspettare che le nostre truppe ci raggiungessero». Tuttavia, ben presto la situazione cambia e i fuggiaschi vengono a sapere da uno dei loro ospiti, Giovanni, che i tedeschi hanno occupato il loro ex-campo. Temendo per l’incolumità dei loro benefattori italiani, decidono di partire. I contadini li convincono però a restare nella zona: «dissero che ci avrebbero dato una tenda e portato del cibo. Ci condussero in un bosco dove avremmo potuto nasconderci. Era a poca distanza dal villaggio attraverso una zona paludosa oltre la quale c’era una fitta boscaglia. Qui piantammo la nostra tenda. Ogni giorno qualcuno della famiglia veniva, portando cibo e vino». Tuttavia, devono ben presto abbandonare anche questo nascondiglio, perché i tedeschi hanno lanciato una caccia all’uomo nella zona. Il gruppo passa la notte in un fosso e quindi si imbatte in alcuni contadini al lavoro in una vigna:

Sembrarono sorpresi di vedere tre uomini in uniformi sgualcite scalare il fosso. Confabularono tra loro e guardarono nella nostra direzione, ma continuarono a lavorare. […] Ci avvicinammo e facemmo segno che eravamo affamati. Potevano darci qualcosa? Lo fecero volentieri, dandoci ognuno un po’ del loro cestino da pranzo. Dissi ad auna signora anziana che eravamo neozelandesi e non tedeschi, ma non sembrò capirlo. Comunque, disse “Sì, sì” quando le dicemmo che eravamo soldati britannici. Poi la cara vecchietta disse: “non mi importa se siete tedeschi, britannici o italiani, siete affamati e gli affamati vanno sfamati”. Scoprimmo che molti dei contadini non capivano le complessità della guerra. Sapevano che l’Italia aveva capitolato ma i tedeschi li costringevano a continuare la guerra e tutto quello che desideravano era di essere lasciati in pace.

Raymond, Sol e John continuano la loro marcia, ma non sanno dove si trovano e non hanno cibo con loro. Incontrano altri fuggiaschi e decidono di unirsi a loro. Il gruppo si accampa vicino ad un ruscello, costruendo una tenda mettendo insieme un certo teli. Anche in questo caso, sono aiutati dalla popolazione, che li nutre. Presto, anche curiosi arrivano al nascondiglio, per discutere della situazione internazionale:

“Eravamo volontari o di leva?” “Il nostro gruppo era formato da volontari.” “Perché vi siete offerti volontari per combattere contro gli italiani?” “Non l’abbiamo fatto, ci siamo offerti di combattere i tedeschi e poi Mussolini si è unito ai tedeschi contro di noi.” Questo condusse ad una discussione con un gran gesticolare e insulti a Mussolini. Eravamo tutti di nuovo amici.

Tuttavia, all’inizio di ottobre, due ragazze che conoscono, Elsa e Margherita, li avvisano che la loro posizione è stata rivelata ai nazi-fascisti. Il gruppo deve quindi allontanarsi nuovamente. Guidati dalle ragazze, i fuggiaschi raggiungono un fitto bosco, dove erigono un nuovo campo, aiutati anche dal padre delle due, Augusto, che porta loro il necessario per dormire.

Il 21 novembre 1943, però, anche questo nascondiglio viene scoperto dai tedeschi, che piombano sui fuggiaschi sparando senza preavviso. Il gruppo si disperde, forse qualcuno resta anche ucciso. Raymond fugge a rotta di collo nelle campagne, trovando rifugio in un fosso lungo una strada. «A poco distanza sulla strada c’era un soldato tedesco. Quando mi vide immediatamente imbracciò il fucile e iniziò a gridare. Io saltai al di là del fosso e mi portai fuori dalla sua visuale, ma l’allarme era stato lanciato. Tally-ho! [grido dei cacciatori] La lepre era stata avvistata!» Tuttavia, ancora una volta Raymond riesce a sfuggire alla cattura, addentrandosi in una zona paludosa, dove resta nascosto finché la caccia all’uomo non termina. Cautamente, torna sui suoi passi, imbattendosi in Elsa e Margherita. Le due lo portano a casa, dove Alberto lo sfama e gli fornisce degli abiti civili.

Nei giorni seguenti, Raymond vaga tra i villaggi della zona, alla ricerca di Sol e John, i suoi due compagni di fuga che sa essere scampati alla cattura perché, al momento dell’attacco tedesco, si trovavano lontani dal campo. Li ritrova infine da Giovanni, nel primo villaggio in cui si erano rifugiati dopo aver lasciato il campo. I tre cambiano spesso nascondiglio, condividendo con la popolazione una dieta a base di polenta.

All’inizio di gennaio i tre sfuggono per poco alla cattura mentre stanno mangiando a casa di alcuni contadini, che li nascondono e sviano i tedeschi. Tuttavia, il gruppo viene individuato nella pianura da un sidecar tedesco e ben presto Raymond, Sol e John sono circondati dal nemico: «la motocicletta e la sidecar si avvicinarono per prime. Fermandosi a qualche metro di distanza, un uomo saltò giù dalla sidecar brandendo una mitragleitta. Sparò una raffica sopra le nostre teste. Ci fermammo immediatamente. Dopotutto, non si può discutere quando ti puntano contro un mitra!» Catturati, i tre sono perquisiti e interrogati, è il 4 gennaio 1944.

Raymond viene portato in Germania, nello Stalag IV Brüx (Most), in Cecoslovacchia. Solo l’8 maggio 1945 riconquista infine la libertà, ha ancora con sé il fidato orologio.