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Michael Denman Gambier-Parry

WO 208/3320/48

Il general maggiore Michael Denman Gambier-Parry, ufficiale di lungo corso dell’esercito britannico (era entrato in servizio nel 1911), viene catturato dalle truppe italiane a Mechili, in Libia, l’8 aprile del 1941 mentre era al comando della 2° divisione corazzata.

In pochi giorni, viene trasferito in Italia, prima al PG per ufficiali di Villa Orsini (annesso al PG 78 di Sulmona), dove passa circa cinque mesi e quindi nel PG 12 di Vincigliata (Firenze), dove resta due anni, dal settembre 1941 fino alla proclamazione dell’Armistizio l’8 settembre 1943. Nel campo, Gambier-Perry si distingue per le sue doti artistiche, sia come disegnatore che come musicista.

Il PG di Vincigliata, situato in un castello, è un campo per alti ufficiali ed i loro attendenti. Le condizioni di vita sono perciò buone ed il numero di prigionieri piuttosto ridotto. Nondimeno, l’annuncio dell’avvenuto Armistizio genera confusione e apprensione.

Apprendemmo dell’Armistizio dal personale italiano dopo cena l’8 settembre ’43, e ci fu detto di non dirlo ai nostri attendenti fino al mattino successivo, quando l’annuncio ufficiale sarebbe stato diffuso. Il mattino dopo (9 settembre) ci fu chiesto di restare dentro il castello. Le sentinelle rimasero sulle mura – non, mi fu spiegato, per tenerci dentro, ma per tenere i tedeschi fuori. Ci fu dato accesso ai nostri averi e furono distribuiti pacchi della Croce Rossa. Gli italiani erano molto amichevoli.

 

Il giorno successivo, i generali prigionieri vengono invitati a Firenze dal comandante della difesa territoriale, il generale Armellini Chiappi. Gambier-Parry, insieme ad altri 11 alti ufficiali e 14 prigionieri di ranghi minori, viene così portato nel capoluogo toscano in automobile. Insieme a lui viaggiano il generale Neame, il general maggiore O’Connor, il Maresciallo dell’Aria Boyd, i brigadieri Vaughan, Combe, Todhunter, Stirling e Armstrong, il capitano Ruggles-Brise ed il tenente Ranfurly. Sono tutti in uniforme.

Gli ufficiali del gruppo furono ricevuti al quartier generale di Firenze dal general Chiappi, il quale fece un breve discorso […]. Aveva il piacere, disse, di assumersi la responsabilità di lasciarci andare. Ci chiese se avessimo abiti borghesi, e noi dicemmo che ne avevamo qualcuno. […] Il generale disse che era difficile consigliarci dove andare, ma, dopo averci riflettuto, disse che pensava che, per cominciare, il posto migliore fosse Arezzo.

Accompagnati da un attendente del campo, il tenente Jannicelli («il quale in precedenza era stato piuttosto sgradevole nei nostri confronti, ma ora divenne estremamente utile»), il gruppo si allontana verso la stazione di Campo di Marte, considerata più sicura e meno sorvegliata. Alla stazione, si verifica quasi una gara per aiutarli:

Eravamo ancora in uniforme e, mentre aspettavamo […] un gran numero di italiani […] iniziò a spogliarsi di vari capi di vestiario ed a darceli, rifiutando di essere pagati se non con qualche sigaretta. Fummo [così] trasformati in civili di qualche specie. Più tardi la guardia del treno, notando che il paio di calzoni che avevo ottenuto erano troppo stretti per me, mi diede quelli della sua uniforme.

Chiappi organizza per la fuga un treno speciale, composto da due soli vagoni, che porta il gruppo ad Arezzo.[1] Qui sono portati al locale quartier generale, ma l’ufficiale responsabile dà un’impressione completamente diversa rispetto a Chiappi. «[Era] un colonnello o un brigadiere, il quale era completamente instupidito e terrorizzato dei tedeschi, contro i quali non voleva opporre resistenza».

Nonostante la paura, in ogni caso, l’ufficiale organizza il trasferimento del gruppo nel monastero di Camaldoli e si reca personalmente dai monaci a trattare. Gambier-Parry raggiunge così la sicurezza delle mura del monastero alle 22, dopo la sua prima giornata in fuga. «Restammo a Camaldoli dalla notte del 10 settembre fino a mezzogiorno del 14 settembre. […] In quel periodo i movimenti dei tedeschi erano verso nord, e avemmo l’impressione che […] volessero ritirarsi».

Il 14 settembre il gruppo si divide per nascondersi meglio. Neame, O’Connor, Boyd e Todhunter restarono con i monaci nella zona, mentre Gambier-Parry ed il resto dei fuggiaschi vengono spostati al di là degli Appennini, trovando rifugio in varie fattorie della zona di Casanova d’Alpe (Forlì).

Poco dopo, anche Neame ed i suoi si spostano nelle vicinanze, a Seghettina, perché i tedeschi li braccano sempre più da vicino. A poco a poco, anche gli altri ufficiali si spostano da Casanova a questo nuovo nascondiglio, e Gambier-Parry resta solo con altri due fuggiaschi, prendendo in mano le redini della gestione degli ex-prigionieri di guerra nella zona tra Casanova e Strabatenza; «ad un certo punto ne avevo ben 25 da accudire». Neame e Gambier-Parry diventano i coordinatori per una rete di salvataggio di prigionieri fuggiaschi costruita dagli italiani.

Durante l’ultima settimana di ottobre ci fu un raid tedesco a La Seghettina, ma i tedeschi furono avvistati da lontano ed il generale Neame ed il suo gruppo fuggirono nei boschi. C’era l’impressione, però, che il raid potesse venir ripetuto ed il gruppo del generale Neame venne nella zona di Strabatenza intorno al 31 ottobre, dove furono sistemati. […] A questo punto, gli uomini stavano gradualmente spostandosi verso sud – alcuni perché volevano andarsene, altri perché gli italiani stavano diventando inquieti ed il cibo scarseggiava. Io acconsentii a queste partenze perché a quel punto eravamo troppi nella zona.

Anche Neame, insieme ad altri due alti ufficiali, lascia la zona e viene evacuato a sud del fronte. Ai primi di novembre si prospetta questa possibilità anche per Gambier-Parry, il quale si reca ad un incontro a Bagno di Romagna, ma l’occasione sfuma. Con Combe, Todhunter e Ranfurly torna quindi a Strabatenza. Un altro tentativo viene compito il 20 novembre, ma anche questo non ha successo. Nel frattempo, la repressione nemica si fa sempre più stretta.

All’inizio di dicembre iniziò ad apparire chiaro che la nostra organizzazione era nei guai. Ci fu detto che alcuni membri erano stati arrestati e che il flusso di denaro si stava asciugando. Verso la fine di dicembre incontrai due rappresentanti dell’organizzazione i quali mi diedero una sommami denaro e ne promisero altro. Questi soldi promessi non arrivarono mai e non sapemmo più nulla dell’organizzazione.

Scollegati dalla loro rete, Gambier-Parry ed i suoi compagni non possono che aspettare gli sviluppi della situazione. Solo il 6 gennaio 1944, «un greco che avevo incontrato in precedenza arrivò senza preavviso a Strabatenza, dicendo che era stato mandato da un’organizzazione operante a Roma e che era stato deciso che i brigadieri Armstrong e Stirling e io dovessimo seguirlo a Roma». I tre decidono di tenare di raggiungere la capitale. Tuttavia, alla fine è solo Gambier-Parry a partire, l’ufficiale greco; infatti, «[…] pensava che tre fossero troppi».

I due passano dunque per Bibbiena da dove prendono il treno per Arezzo, dove passano due notti. «Qui fummo raggiunti da un giovane ufficiale italiano […] e dalla signora Boyd, una britannica residente a Firenze, la quale si era spostata ad Arezzo e aveva aiutato fuggiaschi americani e Britannici nella zona». Il 12 gennaio il gruppetto prende il treno per Roma, dove arrivano senza incidenti. Gambier-Parry trascorre dunque i successivi sei mesi nella capitale, nascosto in un convento. Solo quando gli Alleati liberano la città può finalmente usciere allo scoperto e tornare a casa, a quasi 53 anni, dopo più di tre anni in Italia.

Campi legati a questa storia

Bibliografia/Fonti

TNA WO 208/3320/48, M.I.9/S/P.G.(-) 1961: Name: Michael Denman Gambier-Parry, MC, Major General, 2nd Armoured Division, Royal Tank Regiment. Captured: Mekili, Libya, 8 April 1941. Escaped: Vincigliata, Florence. Arrived in the UK.

 


Note

[1] Per questo ed altri atti contro i tedeschi, Chiappi viene deportato in Polonia dove morirà di stenti il 4 novembre 1944.