Seleziona una pagina
w

Jeffery Morphew

(1918-1994)
Pilot South African Air Force

Jeff è catturato in Libia il 4 giugno 1942. Ha ventiquattro anni.  Il suo aereo, colpito dai tedeschi, si schianta al suolo. Riesce a mettersi in salvo lanciandosi con il paracadute. Una volta a terra, tuttavia, continua a essere bersaglio dei colpi nemici. Ha il deserto davanti e nessuna possibilità di trovare riparo.

Alla fine decido che l’unico modo per impedire loro di mitragliarmi era fingere di essere morto. Mi sdraio al suolo. Nel giro di pochi secondi un 109 mi viene addosso di fianco. L’ho visto avvicinarsi volando a poca altezza da terra e ho così atteso l’esplosione di fuoco che mi avrebbe condotto fuori da questo mondo. E invece i 109 interruppero immediatamente il mitragliamento, interruppero lo scontro e volarono via […]. Quando alla fine mi sono alzato, ho scoperto che il mio braccio sinistro e il mio fianco erano un ammasso di sangue e terra. Anche il mio braccio destro era coperto di macchie di sangue provocate dalla ghiaia piovuta in volo..
[…] Il resto della giornata fu caratterizzato da un caldo terribile, sete, stanchezza e dolore. Non mi sono mai sentito così solo e desolato.

Nel tardo pomeriggio, mentre attraversa il deserto diretto a est, stanco, dolorante e indebolito dalle copiose perdite di sangue, è avvicinato da una motocicletta. Si tratta di due soldati italiani a cui non oppone resistenza, che lo disarmano e catturano. Viene trasportato a Derna e per alcuni giorni sosta presso il locale ospedale militare situato a circa tre miglia dalla città. Le condizioni igieniche del luogo sono precarie, le mosche ronzano intorno ai malati e alle loro ferite, manca qualsiasi tipo di anestetico.

Il 9 giugno 1942 la nave Aquilea trasporta Jeffery e ad altri prigionieri a Napoli e da lì, in ambulanza, è trasferito presso l’Ospedale militare di Caserta.

Accanto all’edificio principale dell’Ospedale di Caserta, sul lato più lontano dalla strada, c’era un albero alto. Torreggiava proprio fuori dalla nostra finestra e subito mi fece pensare alla possibilità di evadere.
[…] Quasi tutti i casi erano gravi, in particolare militari con arti mancanti e cosi via. I reparti non erano tutti affollati e i letti erano normali letti d’ospedale. La maggior parte dei medici erano britannici e tutte le forniture mediche provenivano dalla Croce Rossa Svizzera.

Il 19 giugno gran parte dei militari di stanza a Caserta viene trasferita presso l’Ospedale militare di Lucca. Il viaggio si rivela particolarmente faticoso per Jeff che giunge esausto e febbricitante presso la nuova destinazione.

A Caserta vivevamo sempre affamati mangiando principalmente “zuppa d’erba”. A Lucca le condizioni non erano molto migliori. Tuttavia iniziai a stare meglio e ancor prima di essere del tutto guarito sono stato mandato nel mio primo vero campo di prigionia a Chieti, sulla costa adriatica, a est di Roma. Pensieri di fuga avevano cominciato già a fermentare nella mia mente.

Giunto a Chieti ad agosto, Jeff constata con sollievo che nel campo ci sono molti prigionieri Sud Africani. È una permanenza che dura però solo qualche mese, perché a novembre lo raggiunge la notizia che lui e i suoi connazionali saranno presto spostati in altra struttura. Decide che proverà a fuggire dal treno in corsa. Condivide il suo proposito con il compagno Cecil Koegles, pronto ad affiancarlo. Il piano, tuttavia, fallisce: durante il trasferimento, infatti, i due sono guardati a vista dalle sentinelle e non hanno alcuna possibilità di movimento. Qualcuno –il sospetto ricade su un ufficiale inglese alloggiato nella loro stessa baracca- ha probabilmente informato gli italiani del loro proposito.

Trasferirsi da Chieti a Modena nel novembre del 1942 significava, ovviamente, andare in una parte molto più fredda dell’Italia, nel periodo in cui l’inverno si avvicinava rapidamente. Chieti si trovava in una zona collinare a sud, relativamente riparata dai venti freddi, mentre Modena, nella pianura lombarda, era esposta ai venti che soffiano dalle Alpi. Noi sudafricani soffrivamo molto il freddo. Il trasferimento significava, tuttavia, che sarei stato molto più vicino al paese dei miei sogni: la Svizzera.

Jeff nel marzo 1939 (Fonte: J.Morphew, Five frontiers)

Jeffrey ricorda come il PG. 47 di Modena fosse occupato per metà da neozelandesi e per metà da sudafricani. Poco dopo il suo arrivo, partecipa con entusiasmo alla redazione del giornale del campo, il Central New Agency, cosa che gli permette di trascorrere in modo meno noioso le giornate e di essere costantemente informato su quanto accade.

Il coraggioso tentativo di fuga di due compagni, finito poi con una ricattura, fa sì che nel campo si costituisca un “comitato di fuga” a cui ogni prigioniero avrebbe dovuto rivolgersi prima di tentare una evasione, condividendo il suo piano. Se la commissione si fosse espressa positivamente, tutti avrebbero dato una mano per la buona riuscita dell’operazione. Nel settore di Jeff, l’ufficiale di collegamento con il comitato è Bob Meintjes, persona di cui sa di potersi fidare.

La possibilità di passeggiare quotidianamente nel perimetro del campo porta Jeffrey ad osservare in modo dettagliato l’ambiente che lo circonda e a immaginare possibili piani di fuga: stabilisce, prima di tutto, che è opportuno muoversi all’imbrunire, prima che avvenga il cambio della guardia; osserva, inoltre, come gli unici estranei che possono entrare e uscire dal campo sono i Carabinieri: decide quindi che tenterà di evadere fingendosi uno di loro.

Ho iniziato a studiare i Carabinieri, i loro movimenti nel campo, la loro postura e le movenze. L’uniforme grigioverde e il berretto prestatimi a Lucca erano ancora nascosti tra le mie coperte, ma realizzare le stelle d’argento a cinque punte e lo stemma sul bavero era un problema. Ancora più difficile era trovare un compagno (perché i Carabinieri lavoravano in coppia) che avrebbe dovuto essere cosciente che il rischio era quello di essere fucilati se ricatturati in uniforme nemica [Lo prevedeva la Convenzione di Ginevra].[1].

Una volta elaborato il piano e trovato un compagno – Cecil Koelges, della South Africa Artillery – Jeff condivide la sua linea d’azione con Bob Meintjes, ottenendo il consenso del comitato, che lo aiuta nella realizzazione delle uniformi false e contribuisce alla felice realizzazione del piano.

È il 3 marzo 1943, Jeff e Cecil indossano le uniformi da Carabinieri con al di sotto abiti da civili. Fingono di essere alla fine del servizio e si dirigono verso il cancello d’uscita:

Prima che potessi rendermi conto di cosa stava succedendo, Cecil comandava alla sentinella, in perfetto italiano: “Apri il cancello”. La guardia procedette senza esitazione. Il cancello si aprì cigolando e noi lo attraversammo.

Moneta del campo di Modena (Fonte: J.Morphew, Five frontiers)

Si avviano con fare sicuro in un angolo appartato e, non senza difficoltà, scavalcano la recinzione nel momento in cui le guardie, che sorvegliano il perimetro, hanno svoltato l’angolo. Si calano giù e senza essere visti e si allontanano nel buio della campagna circostante.

Una volta lontani si sbarazzano delle uniformi da Carabiniere.

Si dirigono verso la stazione ferroviaria di Modena con l’obiettivo di prendere un treno per Milano, cercando di mescolarsi il più possibile tra la folla.

Da Milano salgono su un treno per Como, ma nella confusione che si crea all’apertura delle porte in una delle stazioni di passaggio, Jeff perde di vista Cecil. Nei giorni a seguire, torna più volte in stazione, a Como, con la speranza di ritrovare il compagno, di cui, però, non c’è traccia.

Decide allora di dirigersi da solo presso Chiasso, per valicare il confine con la Svizzera. Non ha una mappa (la sua è sparita con Cecil) e non sa parlare l’italiano, motivo per cui si finge sordo-muto per evitare quanti gli rivolgono la parola per strada.

Disegno del passaggio di Jefff attraverso il filo spinato italiano (Fonte: J.Morphew, Five frontiers)

Quando raggiunge finalmente la frontiera si rende conto che deve oltrepassare un doppio filo spinato. Da un lato quello italiano, sulla cui cima sono state installate delle campane e con la presenza di guardie; dall’altro quello svizzero. Tra le due recinzioni è necessario attraversare un campo con al centro un edificio, probabilmente occupato da lavoratori della vicina ferrovia.

L’impresa non è semplice, ma con pazienza Jeff riesce ad aprire un piccolo varco nella recinzione italiana e, svestitosi, a scivolare passo dopo passo dall’altra parte: «Gli spigoli appuntiti del metallo premevano dolorosamente contro la mia carne, ma dopo una lotta lunga e difficile riuscii a farcela, sanguinando per i numerosi tagli e le abrasioni».

Deve ora attraversare il terreno di mezzo senza essere visto. In quell’area passa la ferrovia e proprio mentre cerca di muoversi senza essere visto, sopraggiunge un treno diretto in Svizzera che procede a passo d’uomo. La nuvola di fumo che si alza e il rumore prodotto dalle rotaie permettono a Jeff di muoversi senza essere notato, aiutandolo a raggiungere il filo spinato svizzero, che riesce ad oltrepassare senza troppe difficoltà. È la notte tra il 7-8 marzo 1943.

Ho guardato l’orologio. Erano le 23.30, cinque ore e mezza da quando ero arrivato alla recinzione italiana. Non saprò mai quanta adrenalina è stata prodotta dal mio corpo in quel periodo!

Una volta in Svizzera, però, Jeff decide che la guerra per lui non è ancora finita e che è suo dovere tornare a combattere, nonostante a Losanna abbia incontrato Joyce, che l’anno successivo diventerà sua moglie. Nei mesi a seguire, valica il confine con la Francia occupata dai tedeschi e poi raggiunge la Spagna e Gibilterra, atterrando a Londra nel gennaio 1944. Tornerà in Sud Africa solo nell’aprile 1945.

Alla fine della guerra viene insignito del MBE (Most Excellent Order) per la sua coraggiosa fuga e per la determinazione nel tornare a combattere.

Bibliografia/Fonti

J. Morphew, Five frontiers to freedom, National Books Printer, 1999, Cape Town

 


Note:

[1] Cecil Koeges viene ricatturato a Chiasso e poi trasferito in Germania. Jeff non è mai venuto a conoscenza dei motivi che lo spinsero a sparire durante il loro viaggio verso Como.