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Jack Prichard

WO 208/3324/112

Il maggiore Jack Pritchard, del Royal Tank Regiment, viene catturato con ogni probabilità sul fronte nordafricano nel 1942, anche se non ci è noto esattamente dove o quando. Sappiamo che, quando viene proclamato l’Armistizio tre l’Italia e gli Alleati, l’8 settembre 1943, Pritchard si trova nel PG 29 di Veano.

Il giorno seguente all’annuncio, «i prigionieri presero il controllo del campo senza che gli Italiani opponessero resistenza» e, il giorno successivo, i Senior British Officers diedero il permesso ai prigionieri di scappare. Pritchard si allontana così da Veano con il maggior Frye, il maggiore Cole ed il soldato semplice Kemsley, tutti suoi compagni di brigata.

Decidemmo di andare verso sud, sperando di incontrare le nostre forze in avanzata verso nord. Dopo qualche giorno, il problema del cibo si fece sentire, e decidemmo di accettare l’offerta di una famiglia italiana, la quale viveva presso Veano e [si offrì] di nutrirci. I tedeschi, tuttavia, setacciarono la zona dove eravamo accampati e [così] ci spostammo nel villaggio di Grille [con ogni probabilità si tratta di Grilli], vicino a Bettola. In questo villaggio incontrammo un piccolo agricoltore, il quale aiutò noi a molti altri gruppi di fuggiaschi.

I quattro restano nella zona di Bettola fino alla fine di ottobre 1943, quando la combinazione dei raid fascisti sempre più frequenti e del tempo sempre più inclemente, li costringe a spostarsi. I fuggiaschi vengono nuovamente aiutati dalle famiglie della zona, in particolare da quella che li aveva sfamati vicino a Veano. Gli italiani, infatti, si offrono di condurli a Milano e ospitarli in città. Cole, Frye e Pritchard raggiungono così il capoluogo lombardo e si sistemano (i primi due con la famiglia che li aveva guidati in città, Pritchard con un’altra). Tuttavia, forse a causa di una rinnovata attività dei fascisti o dei tedeschi, gli italiani si rifiutano di ripetere il viaggio per recuperare Kemsley «o altri gruppi che avremmo voluto aiutare».

I tre decidono comunque di restare a Milano, sperando che gli Alleati continuino nella loro avanzata verso nord e di poter così passare le linee del fronte in breve tempo.

In dicembre, Cole e Frye incontrano un italiano di Monza. «Era un gran sostenitore dei britannici e insistette per dare a noi e alle famiglie che ci aiutavano dei soldi». Tuttavia, Pritchard nota come tutti i loro protettori sono molto tesi. I loro ospiti, ad esempio, «non avevano detto nemmeno ai loro più cari amici della nostra esistenza e non volevano che lasciassimo le loro case, per via del pericolo che qualcuno ci vedesse». Solo alla fine del mese viene concesso ai tre fuggiaschi di uscire. Non è solo la mancanza d’aria fresca a preoccupare Pritchard ed i suoi compagni, però: «il nostro obiettivo era trovare dei contatti e imparare a muoverci a Milano».

Nel periodo successivo, Pritchard viene coinvolto in due tentativi fallimentari di lasciare l’Italia. Il primo, in febbraio, prevedeva lo spostamento sulla costa adriatica per poi essere raccolti da imbarcazioni Alleate. Il secondo, invece, si basava sull’utilizzo di una barca per fuggire via salpando da Genova. Entrambi i tentativi, però, non hanno seguito.

Nel maggio 1944, i tre entrano in contatto con un italiano «in contatto con l’intelligence Alleata». L’individuo misterioso è probabilmente qualcuno appartenente all’Organizzazione Franchi (capitanata da Edgardo Sogno, si occupava di tenere i contatti tra gli Alleati a molte formazioni partigiane), se non proprio Sogno stesso. «Ci offrimmo di aiutarlo, ma rifiutò e ci disse che secondo lui era meglio che ce ne andassimo in Svizzera». Pritchard e di suoi compagni, convinti a questo punto che la campagna d’Italia sarebbe durata ancora a lungo, decidono di accettare questa offerta. Tuttavia, basta una distrazione per far sfumare il piano:

Il 12 giugno ’44 […] Cole e Frye furono catturati a Milano da alcuni fascisti in un caffè. Dovetti abbandonare immediatamente la casa dove vivevo ed evitare di incontrare i miei contatti. Provai a ristabilire i contatti con l’organizzazione ma, poiché i fascisti sapevano della mia presenza e conoscevano il mio aspetto, dovetti essere molto cauto. Il caffè dove vennero presi […] Cole e Frye era il nostro unico punto d’incontro con questa organizzazione e non potei visitarlo per un bel po’.

Pritchard si trasferisce in periferia e prende contatti con i partigiani della zona (forse un gruppo di GAP o SAP). «Nel luglio ’44, mentre ero in una casa in periferia a Milano con cinque partigiani, in viaggio per unirmi alla loro banda, fummo sorpresi dai fascisti. Dopo una breve battaglia riuscimmo a fuggire, ma persi i contatti con i partigiani».

Il maggiore continua così a vivere a Milano, cambiando spesso casa e famiglia ospitante, potendo contare sul supporto degli italiani che lo hanno protetto fino a quel punto, inclusi gli ex-ospiti di Cole e Frye. È solo in settembre 1944 che finalmente si presenta nuovamente l’opportunità per Pritchard di fuggire dal paese. Entra infatti in contatto con altri italiani impegnati nel salvataggio di prigionieri fuggiaschi (non è chiaro se questo gruppo sia composto da individui che non aveva mai incontrato, o si tratti di nuovo della Franchi). Questi lo conducono al confine con la Svizzera, che varca il 26 ottobre 1944, dopo più di un anno di vita alla macchia, gran parte del quale trascorso non in campagna come molti altri fuggiaschi, ma in una delle città più grandi della Repubblica Sociale.

Campi legati a questa storia

Bibliografia/Fonti

TNA WO 208/3324/112, Escape/Evasion Reports: Code MI9/SPG: 2727.