Gordon Lett
Il Maggiore Gordon Lett nasce a Papua Nuova Guinea da una coppia di australiani (la madre aveva origini scozzesi), ed è un militare di carriera. Trasferito in Sudan durante la guerra, partecipa alla campagna nordafricana e viene catturato a Tobruk nel luglio 1942. Passa in vari campi di prigionia, prima in Libia e poi in Italia, a Bari e Chieti, fino ad arrivare al PG 29 di Veano (Piacenza), destinato ad alti ufficiali. Il maggiore trascorre qui alcuni mesi, fino all’annuncio dell’Armistizio, quando il comandante del campo, il colonnello Giancarlo Cornaggia Medici, lascia andare i prigionieri e l’intera guarnigione italiana si dà alla macchia. Proprio mentre Lett sta uscendo dal campo, Medici lo supera in macchina, salutandolo con la mano.
Gordon Lett è ora libero, insieme a due compagni: il sergente Blackmore e il fuciliere Miscalled. I tre non sanno con precisione cosa fare, ma decidono infine che la loro migliore possibilità di fuga è raggiungere la costa ligure, contando su un rapido sbarco degli Alleati a Genova. Inizialmente, i tre sono diffidenti nei confronti della popolazione ma, spini dalla fame, devono infine correre il rischio di bussare alla porta di una fattoria. L’accoglienza che ricevono li sorprende; da quel momento capiscono di poter contare sugli italiani. Dopo un mese di marcia, il gruppetto arriva in vista della costa, che si rivela però troppo ben presidiata dal nemico. Lett e i suoi ripiegano quindi verso l’interno, arrivando nella valle di Rossano (frazione di Zeri) il 15 ottobre 1943, dove vengono accolti dalla popolazione. Ormai è chiaro che non ci sarà uno sbarco alleato in Liguria, e Lett decide quindi di prendere le armi e unirsi alla resistenza, dando vita con l’appoggio del CLN di Genova, nel novembre 1943, ad un battaglione internazionale, composto da ex prigionieri di guerra britannici e polacchi, italiani e persino un peruviano. La banda prende presto il nome «il gruppo del maggiore inglese». In quei giorni, si cementa il patto di alleanza non scritto tra i partigiani e la popolazione locale, che oppone la sua Resistenza al nemico. La Resistenza nella zona si intreccia ad antiche forme di contrasti sociali e di classe, tra una popolazione agricola poverissima ed una urbana che invece gode di un ben diverso tenore di vita: «le tasse furono evase, e nonostante i manifesti della autorità cittadine, si rifiutarono di inviare i raccolti agli ammassi. […] [I contadini] Erano naturalmente sospettosi degli abitanti delle città, e in particolare dei ricchi fascisti che vivevano al sicuro nelle loro ville in pianura».
Gordon Lett
Fonte foto: http://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/11/Calice-Lett-Gordon-via.pdf
A metà dicembre Lett riesce, tramite il CLN spezzino, a mettersi in contatto con il comando alleato attraverso la Svizzera. Viene quindi organizzato un lancio di rifornimenti aviotrasportati per l’anno nuovo, il primo passo per la costituzione di una vera e propria missione di collegamento nella valle. Tuttavia, questo primo passo si rivela molto complesso. Il 2 gennaio 1944, un improvviso rastrellamento nemico, informato dalle sue numerose spie della presenza della banda di Lett, costringe i partigiani a ripiegare su Torpiana (SP). Qui, Lett e i suoi sono accolti dal parroco, che li ospita nel santuario della Madonna sul monte Dragnone. Il maggiore, per di più, viene colpito da una malattia, che lo costringe a letto. Riportato a Torpiana per ricevere cure, Lett ha vari incontri con Giulio Bertonelli, importante figura del Partito d’Azione ligure. Tuttavia, anche questi contatti non portano a molto: il nemico continua ad attaccare e costringe i partigiani a spostarsi nuovamente, ritirandosi a Rossano.
Con la primavera, migliaia di giovani in fuga dalle chiamate alla leva della RSI ingrossano le fila dei partigiani. Il 3 maggio, dopo vari lanci falliti, Lett viene raggiunto dalla missione «London» della «A force», sbarcata sulla costa ligure con l’obiettivo di far evacuare più prigionieri alleati possibili dalla zona verso la Corsica. Sfortunatamente, la radio della «London» era finita in mare ma con l’aiuto di Lett si riesce a organizzare comunque lo spostamento di 32 ex-prigionieri nella notte tra il 19 e il 20 maggio. Tuttavia, il maltempo e l’attività nemica (oltre che, secondo Lett, il comportamento spregiudicato dei partigiani della locale brigata di Giustizia e Libertà), di fatto vanificano i piani della «London», i cui uomini, ora bloccati in territorio nemico, vengono integrati nella brigata di Lett.
Ai primi di giugno, il maggiore riceve un aiuto dal comandante «Beretta», capo di una banda partigiana di Borgotaro (PR) (in realtà i Beretta sono due fratelli, Gino e Guglielmo Cacchioli), che spartisce con lui un lancio di armi ricevuto. Questo permette di armare sia gli uomini di Lett, che quelli di «Franco», Franco Coni, un altro capo partigiano. La banda di Lett assalta quindi la guarnigione fascista di Teglia (MS) il 15 del mese, disarmandola. Meglio armati, gli uomini di Lett decidono di attaccare la guarnigione di Calice (SV), installata nel castello cittadino. Con loro ci sono anche gli uomini di «Dani», Daniele Bucchioni, legati al Pd’A. L’azione, però, non segue perfettamente i piani, i partigiani, infatti, hanno bevuto parecchio:
Al tramonto ci avvicinammo al castello e raggiungemmo un punto da cui poter sparare dietro un dosso a meno di cento iarde [90 metri] dalla facciata dell’edificio. […] L’avvicinamento era avvenuto in silenzio e inizia a sperare che i miei “soldati” si fossero ripresi dalla loro ubriacatura. […] Senza preavviso, Tarquinio decise di iniziare a cantare – una versione molto maleducata dell’inno fascista “Giovinezza” – e gli altri si unirono a lui. La segretezza spiegò le ali e spiccò il volo. […] Dani gridò: “fuoco!” […] senza curarsi delle istruzioni preliminari sul controllare il proprio fuoco, tutte le munizioni furono rapidamente esaurite in un furioso feu de joi [sic]. Poi calò un silenzio opprimente […]. Dani decise di bluffare. “Avete minato la porta?” gridò. “Sì!” rispose un coro festante che poteva essere udito fino a Pontremoli. “Bene, innescatela” [disse] e lanciò una granata che esplose con un boato vicino alla porta delle mura. Il silenzio calò di nuovo, per poi essere infranto da una raffica proveniente dalle finestre superiori. In un battito di ciglia, Dani, Aldo e io ci ritrovammo da soli […] dietro di noi potevamo sentire i passi e i grugniti dei muli che venivano trascinati lungo i sentirei rocciosi del bosco. L’incidente è ancora ricordato a Cadice, perché nella confusione persi il mio bastone da cammino. Fu scoperto dagli abitanti al mattino e preservato come un imbarazzante souvenir.
Tuttavia, l’attacco provoca grave preoccupazione nei fascisti. Nei giorni successivi camionette cariche di rinforzi arrivano a Calice e la GNR inizia a sparare con i mortai contro le pendici dei monti. Infine, i fascisti abbandonano le loro posizioni e Calice si trova liberata, il castello deserto.
Lett (al centro nella foto) con i suoi partigiani.
Fonte foto: http://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/11/Calice-Lett-Gordon-via.pdf
Nei giorni seguenti, cresciuta di numero e incoraggiata dalle notizie della nuova offensiva Alleata su Cassino, la banda compie altre azioni, stavolta di successo, finché di fatto la valle di Rossano diviene una zona libera e Lett e i suoi si installano a Chiesa, nel Palazzo degli Schiavi, che era stato precedentemente occupato dalla milizia fascista. Il borgo diviene così la «capitale» della zona, e Lett il suo governatore. Come racconta, gli abitanti locali che andavano da lui per le richieste più disparate, dalle dispute sulle proprietà ai divorzi.
In questo periodo di espansione partigiana, però, crescono anche le tensioni con le altre bande, soprattutto riguardo la spartizione dei lanci di rifornimento. I rapporti di Lett con azionisti e comunisti non erano mai stati buoni. Il maggiore, un militare piuttosto rigido, ritiene che la guerra la debbano fare i militari e non apprezza la natura politica della Resistenza. Il 25 giugno, Lett riceve addirittura, per errore, il lancio destinato alla brigata GL, con tanto di agenti dell’OSS americani, il che naturalmente aumenta gli attriti, fino a che Vero del Carpio, comandante della brigata Lunigiana, impedisce agli uomini di Lett di accendere i loro fuochi di segnalazione minacciando di sparargli.
Alla fine di luglio gli italiani organizzano un comando unico attraverso i CLN di Genova e La Spezia, guidato dal colonnello Fontana («Turchi», poi «Cossu») che chiede a Lett di unirsi al suo quartier generale come rappresentante degli Alleati. È così che, il 27 luglio, mentre era in visita da Fontana, Lett incappa in «Alfonso» e «Bianchi», ufficiali della missione «Blundell Violet», lì per mettersi in contatto con il maggiore Clifford, un altro prigioniero di guerra evaso. Tuttavia, i due non erano riusciti a trovarlo ed erano stati quindi incaricati di mettersi in contatto con Lett. Così nasce la missione del SOE «Blundell Violett», con Lett quale ufficiale comandante. Il maggiore viene investito del ruolo in maniera definitiva con un messaggio radio il 10 agosto.
Tuttavia, la quiete nella valle di Rossano è destinata a finire. Con l’esaurirsi dell’offensiva Alleata, il nemico può spostare più truppe nelle retrovie per combattere i partigiani. Per di più, Rossano si trova alle spalle della Linea Gotica, una posizione nevralgica per i tedeschi, che vogliono rifornire le truppe al fronte indisturbati. Il 3 agosto, Lett viene svegliato dai suoi, che gli dicono che si sentono spari provenire da Pontremoli (MS). I partigiani sono rapidamente sopraffatti e il nemico brucia tutti i villaggi che conquista. Lett, dopo una breve ricognizione, si ricongiunge prima con «Falco» e quindi con «Beretta», che aveva già fatto sganciare la sua brigata dal fronte. I collegamenti con il comando unico ormai spezzati, Lett decide che la battaglia è persa e non aveva senso sprecare le vite dei suoi. Conduce i suoi uomini sul monte Gottero, sperando di poter superare la cima nella notte. Fortunatamente, sull’altro versante del monte, la brigata Garibaldi Cento Croci, guidata da «Richetto», Federico Salvestri, riesce a respingere l’attacco nemico, aprendo così una via di fuga per i partigiani della valle. Il comando unico, scampato per miracolo, si ricostituisce rapidamente nel villaggio di Buzzò (PR), ospiti di un partigiano locale. Il nemico, forse pensando di aver eliminato tutti i partigiani della zona, non insegue i fuggiaschi. Nelle settimane successive, rifugiati e fuggiaschi giungono da ogni angolo delle valli limitrofe.
Ai primi di settembre, la brigata internazionale torna nella valle di Rossano. Lo spettacolo a cui assistono è impressionante:
E poi vedemmo cosa restava di Chiesa. […] A fissarci da una oscena desolazione, enfatizzata dalla brillantezza del sole, c’era un cumulo di rovine annerite. Il Palazzo degli Schiavi […] era ora ridotto a quattro alte mura, con le finestre spalancate, e piastrelle infrante e macerie coprivano l’erba alla sua base. […] Camminammo tra le rovine fino a giungere alla casa di Tarquinio. Ce la indicò e non disse nulla. Improvvisamente mi resi conto di aver un groppo in gola, e sentir montare una rabbia impotente. […] L’intero villaggio era ridotto a uno scheletro in polvere, i suoi confini demarcati da muri di pietra bruciati.
La missione si rimette in contatto con la base a Sud, e la «A force» riesce perfino ad organizzare la fuga di alcuni prigionieri di guerra oltre le linee nemiche. In ottobre, il nemico lancia un altro rastrellamento, di dimensioni minori rispetto al precedente, che porta comunque numerosi lutti. Ottobre porta però anche nuove reclute. «Dani», infatti, invia tutti i prigionieri di guerra a Lett che può ricostituire le sue forze. Inoltre, non mancano i disertori: francesi, olandesi e belgi che disertano le navi nel porto di Genova. Russi, jugoslavi e polacchi che sfuggono all’organizzazione Todt, dove venivano usati come manodopera. Arrivano anche i lanci aerei, che permettono di passare al contrattacco. I partigiani assaltano le pattuglie nemiche e le guarnigioni isolate. Le bande tornano ad essere una spina nel fianco per il nemico, dalla valle di Rossano fino al litorale ligure. Tuttavia, vecchi dissapori tornano alla luce. Lett, che non ha minimamente cambiato la sua opinione riguardo a come condurre la lotta di liberazione, si trova ben presto ai ferri corti con altri comandanti della zona. Particolarmente indigesto è l’ordine del CLN spezzino che ogni formazione si debba dotare di un commissario politico (una misura presa dal CLNAI e dal CVL). Appare evidente, dalle sue memorie, che Lett vive quest’evoluzione della lotta partigiana come profondamente negativa.
Alla fine di dicembre, Lett, rimessosi in contatto con gli Alleati a sud, organizza la ricezione di un gruppo di 33 SAS, le forze speciali dell’esercito britannico. È l’inizio dell’operazione «Galia», guidata dal capitano Walker-Brown. La loro missione è ostacolare i movimenti del nemico nella zona occidentale della linea gotica, alleggerendo così la pressione sulle truppe Alleate. Dopo un avvio quasi disastroso, in gennaio i SAS riescono a portare avanti i loro compiti, assistiti sia dagli uomini di Lett che dai partigiani locali. Il movimento, però, allerta il nemico, che lancia un nuovo rastrellamento. Nonostante un iniziale attacco partigiano che rallenta le operazioni nemiche, i tedeschi dopo poco si riorganizzano e contrattaccano. Lett porta i suoi uomini e alcuni membri delle SAS sulle pendici del monte Pecchiara e quindi sul monte Gottero, seguendo essenzialmente la stessa via che aveva seguito mesi prima. Qui, però, scoprono che stavolta la Cento Croci era stata costretta allo sganciamento e tutto il fronte è ormai perduto. Lett, messo di fronte a questa situazione, decide di tornare indietro. Durante il tragitto, disperati, stanchi e affamati, il maggiore e i suoi si imbattono in una casa. Per farsi aprire dalla proprietaria e farsi dare da mangiare, Lett si finge un tedesco, terrorizzandola «una cosa di cui mi sono sempre pentito». Allo spuntare del giorno, il gruppetto si nasconde in una macchia di arbusti sempreverdi, per riposare. Purtroppo, la loro presenza viene notata da una donna di passaggio e Lett, che ormai non si fida più di niente e di nessuno, decide di evacuare anche questo nascondiglio. Gli uomini guadano un fiumiciattolo e raggiungono una foresta di pini. Da questa posizione, assistono alla battaglia che si scatena alle loro spalle:
Proiettili di mortaio cadevano nel boschetto e sbuffi di fumo e fiamme si sollevarono dagli arbusti innocenti. Un anello di figure in uniforme li aveva circondati, avanzando contro quel feroce nemico, i fucili pronti a sparare. Udimmo un ordine, e caricarono i cespugli, sparando selvaggiamente mentre lo facevano. Fummo tentati di lanciare grida di incoraggiamento. Poi il silenzio calò sulla scena. […] Vedemmo gli attaccanti ritirarsi dal boschetto in gruppi di due o tre. […] Si poteva supporre che la nostra posizione fosse ancora un mistero per i nostri irati inseguitori.
Risollevati dallo spettacolo, gli uomini di Lett si mettono in marcia durante la notte, guidati da un partigiano locale, che li conduce dopo alcuni giorni al suo villaggio natale, Sero (SP), dove sostano nella sua casa. Devono però presto abbandonare anche questo villaggio, che è vittima di brutali rappresaglie da parte del nemico. Infine, Lett riesce a ricongiungersi con «Dani» sulla via per Calice. Finalmente, protetti dai suoi partigiani, il maggiore e i suoi riescono a dormire per una notte intera.
Il giorno seguente, Lett decide che era ora di tornare nella valle di Rossano, la sua zona operativa. Il nemico si è ormai ritirato, e il gruppetto del maggiore può godere dell’accoglienza calorosa degli abitanti. Lett si ricongiunge ai suoi partigiani scampati alle violenze nemiche. Nei giorni successivi, le formazioni iniziano a ricomporsi. Gli uomini del battaglione internazionale escono dai loro nascondigli e anche il colonnello Fontana, scampato alla cattura, si fa vivo. I SAS tornano in azione, attaccando i convogli nemici lungo le strade. Ben presto però, vengono richiamati al quartier generale. L’operazione Galia è stata un successo strepitoso secondo i comandi, ma ha ormai esaurito la sua funzione. Partiti gli uomini delle forze speciali, per un po’ regna la calma. Sia i partigiani che i tedeschi, dopo il grande rastrellamento, rimangono a leccarsi le ferite. Le bande, comunque, si ingrossano; Lett non nasconde la sua disapprovazione tanto per i comunisti e gli azionisti che accettano tra le loro fila nuove reclute dalla fedina incerta, quanto per la missione americana del OSS che li rifornisce di armi e materiali con lanci molto generosi.
In febbraio Lett riceve una visita inaspettata, quella del vescovo di Pontremoli, Giovanni Sismondo. Ufficialmente il prelato viene a negoziare a nome del comando tedesco per uno scambio di prigionieri. Ufficiosamente, invece, vuole chiedere al maggiore di mandare un messaggio agli Alleati in cui si chiede di non bombardare a tappeto il borgo come avevano fatto con i vicini Aulla e Villafranca. Lett risponde che l’unico modo per evitare questa eventualità è di fornire al comando di Firenze la posizione esatta delle truppe nemiche a Pontremoli, in modo che il bombardamento possa essere mirato.
Il vescovo mi guardò in silenzio per un momento. “Questa, maggiore, è un’informazione che non posso darvi. Come guida della Chiesa tradirei la mia fede se vi aiutassi a uccidere degli uomini che, dopotutto, sono creature di Dio. Ma capisco la vostra situazione […].” “Non è una risposta molto soddisfacente, eccellenza – c’è poco che posso fare al momento.” “Dio troverà il modo” replicò “gli chiederò consiglio in preghiera questa sera […]”. […] Ventiquattro ore dopo, uno degli uomini di Franco venne da me nella valle. […] Chris era con me quando mi consegnò una grossa busta. Aprendola, vi trovai un lungo report scritto con grande cura da qualcuno chiaramente non abituato a scrivere, poiché conteneva vari errori ortografici. Conteneva i dettagli di tutti i posti nella città [Pontremoli] dove erano alloggiate le guarnigioni nemiche, e una descrizione delle loro abitudini giornaliere. “Dove l’hai trovato?” chiesi al messaggero. Lui sogghignò. “Maggiore” disse “l’ho trovato sotto un albero”.
Le informazioni sono così trasmesse al comando di Firenze e arrivano all’aviazione che, poco dopo, bombarda Pontremoli con precisione chirurgica.
A metà marzo Lett passa il confine ed entra in territorio Alleato. Non è del tutto chiaro come e perché viene maturata questa decisione. Nelle sue memorie, il maggiore afferma che è una sua idea, perché vuole capire che ruolo avesse la missione «Blundell» nell’imminente offensiva finale degli Alleati. L’altra versione, che appare più probabile, è che i suoi rapporti con le altre bande della zona e con il CLN si siano infine deteriorati troppo e che quindi la sostituzione di Lett sia un modo per calmare le acque. Questa ipotesi è corroborata dal fatto che Lett viene effettivamente sostituito e non torna più nella sua zona operativa fino alla fine delle ostilità, benché ci sia stato il tempo e la possibilità di farlo rientrare. Al suo posto giunge il 7 marzo il Maggiore Henderson, che gestisce le ultime settimane della guerra con gran competenza, ricevendo anche un altro lancio di personale del SAS.
Lett, comunque, continua a ricoprire un ruolo di collegamento per la V armata, è infatti con l’avanguardia Alleata quando questa entra a La Spezia. Viene poi nominato governatore di Pontremoli, un’esperienza che sembra averlo amareggiato per il modo in cui venivano trattati i suoi partigiani da parte del governo militare alleato (AMG). Infine, diviene console a Bologna fino al 27 maggio 1950, il suo ultimo incarico in Italia.
Gordon Lett rimane sempre profondamente legato alla valle in cui aveva combattuto. Nel 1947 fa battezzare la figlia a La Spezia, e si adopera sempre perché i partigiani italiani ricevano il riconoscimento che gli spetta, arrivando perfino a polemizzare con il generale Montgomery sulle colonne del Times, quando il comandante britannico fa alcuni commenti sprezzanti sugli italiani. Tuttavia, bisogna anche notare che Lett, al contrario di molti altri agenti di collegamento, mantiene una visione semplicistica della Resistenza, impuntato sul fatto che fosse un fatto puramente militare e rifiutando di abbracciarne la complessità e la inerente natura politica.
Campi legati a questa storia
Fonti
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TNA, HS6/831, Italy – Political&Military Liaison Mission – BLUNDELL VIOLET – CARROLLTON
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Gordon Lett, Rossano a valley in flames an adventure of the Italian Resistance, Barnsley, Frontline Books, 2011.