Bert Martin
(1919- 1998), 67th Medium Regiment, Royal Artillery
Bert è chiamato alle armi il 20 settembre 1939. Ha vent’anni. Quattro mesi prima della partenza sposa la fidanzata May.
Imbarcato sulla nave neozelandese Rangitiki raggiunge il Sud Africa il 17 agosto 1941.
È catturato nel corso della battaglia di Tobruk, in Libia, il 21 giugno 1942. Di quei lunghi mesi passati nel deserto ricorda le asprezze e le mille difficoltà.
Non avevo mai pensato di poter diventare prigioniero di guerra e quando me ne sono reso conto è stata una vera sorpresa. Ero davvero un PoW. Ho perso diverse foto e il mio diario, ma sono riuscito a conservare il soprabito, la coperta e lo zaino. Ora ero un PoW, pensavo che tutte le mie preoccupazioni fossero finite e che tutto sarebbe andato bene, ma nei mesi a seguire abbandonai gran parte delle mie illusioni.
Nei giorni successivi alla cattura viene trasferito a Derna, in un campo descritto come sovraffollato e in pessime condizioni. Il caldo, inoltre, non dà tregua. Colpito da dissenteria e disidratato, è ricoverato per una settimana in ospedale.
Il 6 luglio 1942 è trasportato a Bengasi dove, dopo l’iniziale smarrimento (è da solo, poiché i suoi compagni sono già stati trasferiti durante la sua degenza), ritrova alcuni militari conosciuti durante l’addestramento e si unisce al loro gruppo. Vi rimane per quattro mesi, lasciando il campo il 1° novembre 1942 in direzione Tripoli e da lì, a bordo di una nave che trasporta oltre 500 prigionieri, sbarca a Napoli, proseguendo poi in treno verso il campo di destinazione.
Verso mezzogiorno ci fermammo in una piccola stazione e scendemmo […]. Ci siamo messi in fila in tre e abbiamo cominciato a camminare. Quella processione era pietosa. I ragazzi barcollavano, alcuni dovevano essere aiutati. I vestiti di tutti erano logori, ci avrebbero potuto benissimo scambiare per un gruppo di vagabondi. Abbiamo percorso più di due miglia, attraversando le strade del villaggio prima di raggiungere il campo. Era costruito solo a metà ma c’erano abbastanza alloggi per tutti. Eravamo giunti al PG. 68 di Vetralla.
Nonostante si tratti di un campo ancora in costruzione, le condizioni di vita che Bert descrive sembrano essere assai migliori di quanto sopportato nei lunghi mesi di prigionia nel deserto: di grande conforto sono i pacchi della Croce Rossa, così come la possibilità di dormire in un letto, al chiuso; anche il trattamento ricevuto dagli italiani viene descritto come buono. Bert si occupa di registrare, tre-quattro volte a settimana, la corrispondenza in uscita: è un’occupazione che lo aiuta a combattere l’inerzia e la noia. Per Natale ricevono la visita di un ambasciatore del Papa.
Negli ultimi giorni di dicembre giunge notizia che i prigionieri saranno spostati presso altri campi -la struttura verrà infatti chiusa ai primi di gennaio-, Bert è parte del gruppo trasferito in treno presso il PG. 73 di Fossoli.
La nostra più grande preoccupazione in quel momento erano i pidocchi. Ogni notte ci guardavamo l’un l’altro seduti sul letto a esaminare gilet e camicie per cercare di stanarli tutti.
Nel taccuino che, a mo’ di diario, riempie di appunti, ricorda come agli inizi di gennaio non avessero più ricevuto i pacchi della Croce Rossa, così che la situazione alimentare era rapidamente peggiorata: «giorni in cui eravamo affamati ed era terribile contare le ore che ci separavano dal pasto successivo».Those were hungry days and it was terrible counting the hours us the went until the next meal». Nel mese di febbraio, anche grazie a giornate meno piovose, i prigionieri si impegnano in intrattenimenti musicali e sportivi. Bert, inoltre, prende lezioni di francese. Trascorrono il tempo giocando a freccette e passeggiando nella campagna circostante, scortati dalle sentinelle del campo. Nel maggio 1943 riceve finalmente due lettere della moglie: sono le prime che gli vengono recapitate dall’inizio della guerra, nonostante la stessa gli abbia più volte scritto.
La situazione presso il campo 73 rimase inalterata fino al grande giorno, mercoledì 8 settembre 1943. Durante la mattinata il nostro gruppo era uscito per una passeggiata. Non sapevamo allora che quella sarebbe stata la nostra ultima passeggiata lì. Giunta la sera, udimmo che era stato firmato l’armistizio tra gli Alleati e l’Italia. […] Non potevo credere di essere libero! […] Non ricevemmo armi e gli italiani ci consigliarono di restare nel campo. Potevamo fare ben poco perché le guardie erano ancora in servizio.
Il morale di tutti era alle stelle. Il pensiero di casa è stato subito presente ed eravamo quasi in lacrime […]. La mattina dopo è arrivato il duro colpo.
I Tedeschi giungono al campo già il 9 settembre, occupando la struttura senza incontrare alcuna resistenza da parte delle guardie italiane: la prigionia di Bert continua.
Il 22 settembre viene diramato l’ordine di trasferimento in Germania. Due giorni più tardi si chiudono alle sue spalle le porte del campo IVB di Mühlberg.
Nei mesi a seguire, con la progressiva ritirata dei tedeschi, Bert e i suoi compagni sono spostati da un campo all’altro. È solo verso la fine della guerra, dopo aver lasciato Dresda -di cui descrive nei suoi diari gli orrori dei bombardamenti- che nel caos dell’imminente sconfitta Bert riesce a raggiungere le linee alleate.
Venerdì 25 maggio 1945. Casa
Alle 17:45 mi sto preparando per tornare a casa. Ricevuto il pass e lasciato il campo in camion alle 9:15. Ho lasciato la stazione di Beaconsfield con un treno speciale e sono arrivato a Marylebone verso le 10.35. Arrivo a casa alle 16:30. Casa.
Campi legati a questa storia
Bibliografia/Fonti
B. Martin, H. Spencer, Till will meet again. Gunner Bert Martin, Create Space Independent Publishing Platform, 2017
Imperial War Musem, Oral interview Bertram Martin (1981) doc. n. 5193- https://www.iwm.org.uk/collections/item/object/80005150