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John Lindsay Alexander

(1920 – 2000)
Lieutenant British Royal Engineers

John è catturato il 6 giugno 1942 nel corso della battaglia di Knightsbridge[1] nei pressi di Ain El Gazala in Nord Africa.

Una fine triste, ma è così. […] Non ricordo di essere mai stato così umiliato come lo fui in quel giorno e in quelli che seguirono. Fummo disarmati, almeno quelli di noi che non si erano già disarmati da soli, spinti per formare colonne e controllati dai carri leggeri, residui del reggimento italiano, che non esitavano a scaricare colpi di mitraglia per tenerci in fila

John nel 1941 Fonte: On getting through

Nelle ore successive alla cattura è trasferito a Bengasi e da lì imbarcato sulla nave Savoia-Marchetti diretta a Lecce, dove viene alloggiato presso una caserma locale.

È successivamente trasportato in treno presso il campo di transito PG. 66 di Capua: «I prigionieri inglesi che già vi si trovavano l’avevano battezzato “Clickety Click”, come viene chiamato questo numero nel gioco del bingo»

John sembra sopportare le pur non semplici condizioni di vita nel campo, descrivendo le diverse attività svolte nel corso della giornata per combattere la noia e il senso di frustrazione. Nel novembre 1942 viene trasferito a Nord, presso il PG. 17 di Rezzanello:

 

Era circondato da pesanti anelli di filo spinato. Riuscimmo a vedere un mucchio di bagagli nel cortile dell’edificio. Ci dicemmo che forse erano nostri, quindi, evidentemente, quello sarebbe stato il nostro nuovo campo di prigionia […].
Ci fu detto che ci aspettavano due appelli al giorno, una dieta modesta e obbedienza alle guardie. Niente di nuovo, eccetto l’inverno. Faceva già freddo, con un forte vento, e neanche il minimo cenno di riscaldamento.
[…] A parte il tempo e il freddo, Rezzanello era abbastanza accettabile.

Percorso da Balsorano disegnato da John nel suo taccuino (Fonte: On getting through)

Nei mesi trascorsi presso la struttura si unisce al gruppo di teatro, frequenta assiduamente la biblioteca lasciata dei vecchi proprietari e inizia a imparare l’italiano.

All’inizio del 1943 si diffonde la voce di un possibile trasferimento in altro campo, poi effettivamente concretizzatasi nel mese di marzo: si tratta del PG 49 di Fontanellato.

È qui che l’8 settembre 1943 John viene raggiunto dalla notizia dell’armistizio. Anche lui, come gli oltre seicento prigionieri presenti nella struttura, abbandona il campo prima dell’arrivo delle truppe tedesche, seguendo l’ordine congiunto del comandante italiano Col. Vicedomini e del Senior British Officer Hugo de Burgh. A partire dal 10 settembre, anche John si nasconde nelle campagne limitrofe e beneficia del soccorso della popolazione locale: di giorno staziona in un campo di granoturco, di notte dorme nelle stalle o all’aperto.

 

Dove eravamo diretti? Decidemmo [John si muove in compagnia di Jack Gatford, Micheal Lacey, John Barry] di entrare nella “spina dorsale” d’Italia, di restare in alto e di muoverci più in fretta possibile. Dipendevamo dalla possibilità di trovare dei buoni contadini per ottenere cibo e indicazioni. Se fossimo riusciti a nasconderci tra le montagne avremmo avuto lo spazio necessario per vedere se e dove gli Alleati sarebbero sbarcati.

L’11 settembre si incamminano verso Sud-Ovest, attraverso la linea ferroviaria e la via Emilia. A metà settembre raggiungono il paese di Bardi e qui attendono notizie circa l’avanzata degli Alleati. Trovano rifugio tra la gente del posto che si offre di ospitarli per l’intero inverno. I fuggitivi decidono tuttavia di rimettersi in viaggio con l’obiettivo di raggiungere, prima che arrivino il freddo e la neve, la linea di comunicazione Roma-Pescara.

Da Bardi raggiungo il Passo della Cisa, al confine tra Emilia Romagna e Toscana, che attraversano con molta fatica. Si spingono verso Pontremoli e risalgono attraverso il Passo del Cerreto. Oltrepassano Porretta Terme, il Passo della Futa e Barberino del Mugello. Arrivano a Firenze senza però entrare nel centro cittadino. Transitano da Dicomano prima di scendere a valle, lungo le sponde del fiume Arno. Raggiungono poi il confine tra l’Umbria e il Lazio. Nei pressi del villaggio di Borbona il gruppo si divide per rendere meno rischioso l’attraversamento delle linee.

John e Jack proseguono insieme. In prossimità de L’Aquila, si fermano nel paese di Balsorano, nella valle del fiume Liri; sono nascosti in montagna presso l’ovile di una delle famiglie del luogo. Ogni giorno un abitante del villaggio porta loro da mangiare affrontando una lunga salita tra i boschi. Le settimane passano. Agli inizi di dicembre il tempo peggiora e i due fuggitivi decidono di partire per raggiungere il fiume Sangro con l’intento di oltrepassarlo, ma il percorso è impervio e dopo due giorni di cammino sulla neve stabiliscono di tornare indietro, a Balsorano: «Alla fine della giornata arrivammo “a casa” per così dire e fummo commossi dal calore del benvenuto»

Jack e io, in modo scherzoso, solevamo dire che, una volta tornati ad essere liberi, avremmo fatto erigere un monumento alla capra italiana, che aveva tracciato, attraverso il fitto sottobosco, sentieri che ci erano stati utili per scegliere la strada più semplice mentre scalavamo miglia e miglia di montagne appenniniche. Ma l’aiuto delle capre non era niente in confronto ai debiti che avevamo con il contadino di collina italiano e sua moglie, con il fattore e con il carbonaio che, a turno, salvarono la nostra libertà e persino le nostre vite. Non fu soltanto per l’aiuto nell’attraversare colline e fiumi, ma anche perché ci lasciavano mangiare il loro cibo, bere il loro vino e, forse inconsapevolmente, ci davano un senso di libertà vicina.

Nel gennaio 1944, dopo il sopraggiungere delle notizie circa lo sbarco alleato ad Anzio, John e Jack si mettono nuovamente in cammino: si dirigono a Sud, verso Sora, raggiungendo Frosinone e tentando poi di valicare le cime dei Monti Lepini. Sono disorientati e con poco cibo a disposizione. Mentre sono sulla cima dell’altopiano e cercano di capire come muoversi, si imbattono in Vittorio Gozzer, “Tito”, un ufficiale degli alpini disertore, vicino ad alcuni gruppi partigiani, che si propone di aiutarli, scortandoli fino al vicino villaggio di Norma, dove sono sfollati molti abitanti delle zone vicino ad Anzio.

Fummo scortati in un “porto sicuro”, che si era dimostrata essere una piccola, malconcia baracca di legno appoggiata alla facciata di una roccia, a circa mezzo miglio dal centro del villaggio. C’era un’uscita di sicurezza sul retro. Non poteva essere migliore. Ci fu detto che avremmo avuto cibo ed acqua (che, come in realtà si è dimostrato significava vino) dal paese e che loro avrebbero organizzato la logistica per la fornitura. In cambio qualsiasi aiuto che potevamo dare ai residenti sarebbe stato molto ben accetto: avamposto, vigilanza, pascolo, lavoro con i muli. Accettammo subito e poi ci organizzammo per un po’ di lezioni su come proteggere le pecore e tenere d’occhio il bestiame. Fummo presto a nostro agio.

Ben integrati nella vita del villaggio, John e Jack divengono ben presto degli abili pastori e ogni qualvolta manifestano il proposito di rimettersi in viaggio, per tentare di attraversare le linee, sono dissuasi dalla gente del posto che si è ormai abituata alla loro presenza.

Trascorrono l’inverno nei paraggi, cambiando spesso nascondiglio, dal momento che i tedeschi, presenti in zona, organizzano spesso ricerche di prigionieri e disertori.

È solo nel mese di maggio, con lo sfondamento della linea Gustav a Cassino, che lo stallo in cui vivono da mesi sembra finalmente sbloccarsi: mentre i tedeschi transitano nella zona in ritirata, il 23 maggio John è avvisato della presenza inaspettata di una pattuglia americana che ispeziona le colline circostanti: è arrivato il momento atteso da tempo.

Scendemmo giù per la collina senza freni, riducendo i nostri scarponi a brandelli mentre correvamo. Per otto mesi avevamo camminato in punta di piedi e adesso cosa ci importava? Eravamo già con le suole al vento prima ancora di aver coperto cento piedi. Mentre camminavamo, buttavamo via i dolorosi ricordi di morte.

Dopo alcuni giorni trascorsi in attesa di identificazione presso il quartier generale americano ad Anzio, vengono informati che saranno presto trasportati via nave a Napoli e da lì rimpatriati. Prima del trasferimento decidono di tornare a Norma e Balsorano per salutare e ringraziare quanti li avevano aiutati in quei mesi. E’ però un ritorno amaro, dal momento che il paese di Balsorano è stato messo a ferro e a fuoco dai tedeschi e molti dei loro soccorritori sono in quel momento irreperibili.

Di nuovo in patria nel luglio 1944, John ha mantenuto rapporti epistolari con molti dei suoi helpers italiani negli anni a seguire.

Campi legati a questa storia

Bibliografia/Fonti

John L. Alexander, On getting true-Attraversand le linee, Associazione culturale Il Liri, Canistro, 2013

 


Note:

[1] Lo scontro di Knightsbridge, avvenuto il 10 giugno 1942, è parte della battaglia di Gazala. In tale occasione le forze britanniche, che muovevano verso sud per intercettare l’Afrikakorps, furono bloccate e respinte dalla Divisione Ariete.