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Ian Spoule

(1922-2001)
2/32 Australian Infantry Battalion

Ian ha appena compiuto diciotto anni quando decide di arruolarsi. È il 25 marzo 1940, giorno del suo compleanno. Tra i ragazzi in fila incontra Jack Powling (China) con il quale condividerà moltissimo negli anni a venire.

Da Sydney è imbarcato sulla nave Queen Mary e parte alla volta della Palestina.

È catturato in Libia il 16 luglio 1942.

Venimmo consegnati agli italiani perché eravamo stati catturati nei loro territorio e fummo destinati al presunto oblio come prigionieri di guerra. Era davvero questa l’ultima cosa che avrei visto del campo di battaglia? La mia più scatenata immaginazione non avrebbe potuto supporre ciò che mi attendeva negli anni a venire.

Ian nel 1940 Fonte: L. Oates, I. Sproule, Partigiani australiani

Il 17 agosto 1942 da Bengasi raggiunge Bari e da qui è trasferito presso il PG. 57 di Grupignano, campo in cui trascorre circa sei mesi in preda alla fame e al freddo: «Mi era stato insegnato a non arrendermi mai in qualsiasi circostanza. Adesso le cose mi si erano rivoltate contro, ero determinato a non cedere».

Il 25 aprile 1943 un convoglio con oltre quaranta prigionieri australiani e neozelandesi trasferisce i militari presso il PG. 106 di Vercelli, struttura articolata in molteplici sotto-campi.

Ian e China, destinati al campo di lavoro di Cascina Oschiena, sono occupati in una risaia, dove lavorano «accanto a dozzine di ragazze». È qui che, l’8 settembre, li raggiunge la notizia dell’armistizio. Scelgono insieme di abbandonare il campo e di mettersi in cammino verso le vicine montagne. Presso il primo paese in cui si fermano, dove massiccia è la presenza di prigionieri, riescono miracolosamente a scampare a una retata tedesca. Di nuovo in cammino raggiungo il villaggio di Graglia dove bussano alla porta di una delle poche abitazioni presenti.

La prima porta a cui bussammo portò un uomo dall’aspetto gentile che doveva avere tra i quaranta e i cinquant’anni. Scoprimmo che si chiamava Davide [il vero nome è Egidio Rocchi]. Non ci pensò due volte, sapendo perfettamente chi eravamo. Ci portò dentro, ci fece sedere  e tirò fuori un pezzo di salame e un piccolo pezzo di pane. «I tedeschi hanno preso il resto», spiegò. «Sarete al sicuro. I tedeschi vengono raramente. Vi troverò da dormire e vi cercherò del cibo. […] Davide e sua moglie avevano sempre un povero pasto da condividere con noi. Ci sentivamo sopraffatti dalla fiducia e dalla generosità di quest’uomo e della sua famiglia.

Poiché anche Graglia diventa presto meta di incursioni di tedeschi alla ricerca di prigionieri da ricatturare, Ian a China, nel timore di mettere in pericolo le famiglie che li aiutano, decidono di spostarsi a valle. È qui che Ian conosce Elda, una giovane del luogo che, assieme alla sua famiglia, si prende cura di loro e di cui si innamora.

Avevamo una relazione d’armonia, comprensione e amore, guastata da nulla tranne che dalle forze esterne che ci tenevano separati. La nostra era una relazione da tempo di guerra. […] Ogni sera, quando ci separavamo, non sapevamo se ci saremmo rivisti. Io avrei potuto essere catturato come prigioniero di guerra in fuga; lei avrebbe potuto essere fucilata perché mi dava aiuto.

La paura che la ragazza e la sua famiglia possano essere vittime della furia tedesca, li spinge ad allontanarsi alla ricerca di una banda partigiana a cui potersi unire per continuare a combattere. È proprio Elda a metterli in contatto con un gruppo della zona.

Pur non condividendo l’orientamento comunista della banda[1], sentono di non avere alternative se non quella di restare, una scelta che si rafforza subito dopo che i tedeschi lanciano degli opuscoli di propaganda con cui invitano gli ex prigionieri a consegnarsi e raddoppiano la taglia sulle loro teste. Nelle settimane a seguire, proprio in risposta a quei messaggi, molti militari alleati si uniscono al gruppo, anche se la loro permanenza si dimostra di solito breve. Il nucleo degli australiani è quello più stabile: oltre a Ian – che vi rimane perché non vuole allontanarsi da Elda- ci sono China e Happy Hungerford, Bill Smith, Ray Vigar e Norm Willacott. Qualche tempo dopo entra a far parte della banda Bert Waineswright, evaso da ben quattro strutture di detenzione. Subito dopo Natale 1943, vi si uniscono Leslie (Les) Parker, Ken Scott, e altri due uomini dello stesso battaglione di Ian, per un totale di nove australiani.

Eravamo tutti soldati semplici. Il risultato fu che, benché non avessimo un superiore, eravamo in grado di elaborare una strategia e la sua modalità di attuazione. Nel corso dei mesi diventammo un piccolo gruppo affiatato ed efficiente, tutti veterani di Tobruk e El Alamein. La dice lunga sul nostro addestramento il fatto che eravamo in grado di operare con successo senza una leadership sperimentata a guidarci.
All’inizio i partigiani non si fidavano di noi e di conseguenza non ci consultavano. Sapevano che non condividevamo la loro causa comunista, ma che eravamo gli unici tra loro con un addestramento militare.
[…] Il dilemma che affrontammo in quelle prime settimane fu grande: dove mettere i piedi in modo da salvare la pelle, essere fedeli alla “gerarchia” e conservare anche la nostra integrità personale.

Come ricorda Ian, la sua partecipazione alla lotta partigiana, così come quella dei suoi compagni, non è animata da alcun sentimento politico, ma è frutto del bisogno di trovare un rifugio che non arrechi pericolo alla popolazione del luogo e della volontà di continuare a combattere il comune nemico. Quello che si instaura con la componente italiana del gruppo è un rapporto conflittuale e assai critico: pesano la reciproca incomprensione linguistica e le molteplici differenze ideologiche, nonché le scarse capacità tattiche e strategiche della maggior parte dei partigiani, così come il loro uso della violenza che, agli occhi dei militari stranieri, appare ingiustificato ed eccessivo.

Nel maggio 1944, i tedeschi mettono in atto un grande rastrellamento anti-partigiano nella zona Biella-Ivrea. Il gruppo in cui milita lo stesso Ian risponde con una imboscata presso il bivio di Torrazzo; è proprio l’australiano Les Parker a lanciare una bomba al plastico, che causa la morte di quattro ufficiali nemici. Tedeschi e fascisti decidono, di conseguenza, di indirizzare la propria repressione verso la zona di Serra, territorio in cui opera il gruppo partigiano. Ian e i suoi compagni riescono a scampare alla caccia all’uomo nascondendosi in una voragine naturale del terreno.

Restammo appartati mentre i tedeschi rastrellavano la montagna, dando alle fiamme diversi posti dove noi partigiani ci eravamo nascosti. Alla fine se ne andarono portandosi via molti prigionieri, compreso China. Il mio migliore amico da quando ci eravamo arruolati insieme, lo stesso giorno, non era più in circolazione.

Dopo la retata, poiché mancano armi e munizioni, la banda decide di programmare una incursione notturna presso il paese di Issime in Valle del Lys, a cui partecipano quattro australiani e trenta italiani. L’attacco fallisce a causa di problemi di coordinamento tra le formazioni e per l’intervento di fascisti di stanza a Lillianes. Durante la fuga, Ian viene sfiorato da un colpo di mortaio che va a ferire gravemente il compagno Les, morto poi di setticemia sedici giorni dopo.

La morte di Les ci sconvolse profondamente. Fino ad allora noi australiani avevamo schivato la morte quasi ogni giorno. Agivamo all’unisono e il lavoro di squadra e il cameratismo ci aveva legati strettamente. Era intollerabile, ora, che uno di noi se ne fosse andato.

Alla fine dell’estate 1944, alla base partigiana giunge notizia della presenza in Val d’Aosta di un gruppo partigiano filo-britannico, presso cui avrebbero operato alcune guide in grado di assistere i prigionieri nell’attraversamento del Monte Bianco, fino alla Francia, recentemente liberata a sud.

Il gruppo di australiani aspetta l’occasione da tempo e si prepara a partire nell’immediato. Anche Ian, combattuto all’idea di lasciare Elda, si lascia convincere dai suoi compagni e, senza salutare di persona la ragazza, si allontana lasciandole una lettera di arrivederci

Quello fu l’inizio di giorni interminabili. Il viaggio prese la monotonia di un trasportatore a nastro, un giorno che sbiadiva nell’altro. Camminammo su e su e su, giorno dopo giorno dopo giorno. Più o meno al quarto giorno cominciò a nevicare a grandi fiocchi che schiaffeggiavano il volto, oscurandoci la vista e raffreddandoci fino al midollo. […] La nostra guida, sugli sci, affrontava la neve senza difficoltà, ma per il resto di noi[2] era un incubo.

Un dolore opprimente mi attanagliava. Sapevo che Elda avrebbe passato una notte dopo l’altra ad aspettarmi, e notte dopo notte non sarei più arrivato. Finché Norman non le avesse consegnato la mia lettera la mia assenza improvvisa sarebbe stata misteriosa e devastante. Il tumulto dei miei pensieri si aggiunse alla fatica per la sopravvivenza fisica.

 

La traversata delle Alpi durata nove lunghissimi giorni, si svolge in condizioni estreme: fame, freddo, abbigliamento insufficiente, una valanga che cade a pochi metri dal gruppo e rischia di travolgerlo. Quando inizia finalmente la discesa Ian e i suoi compagni sono ormai al limite della sopravvivenza.

Per un bel pezzo non scorgemmo segni di vita. Passammo attraverso un villaggio di pietra deserto. Poi su e giù per gran parte del giorno. Ci stavamo dirigendo verso quello che, molto più in basso, sembrava essere un lungo serpente nero e che in realtà era una parte di strada ripulita dalla neve. Quando la raggiungemmo, collassammo incapaci di affrontare una camminata sulla terra battuta. Dopo un po’ udimmo il suono di un motore e subito si avvicinò una jeep americana con il finestrino giù. Seduto davanti c’era un ufficiale con il piede sul cruscotto e un sigaro che gli pendeva dalle labbra. Saltò giù dalla jeep esclamando ad alta voce: «Ciao ragazzi! Penso siate contenti di vedermi!».

Ian (a sinistra) in permesso a Bombay durante il viaggio di ritorno in Autralia, 1945Fonte: L. Oates, I. Sproule, Partigiani australiani

Dei mesi a seguire Ian ricorda l’enorme sforzo per riabituarsi a essere dalla “parte giusta” e per adattarsi di nuovo allo stile di vita da cui era stato lontano per oltre tre anni. Tornato in Australia il 28 marzo 1945, non ha mai perso di vista i suoi compagni di fuga. Neppure il pensiero di Elda – e del torto che le aveva arrecato – lo ha mai abbandonato. Dopo anni di di silenzi ha potuto finalmente ricontattarla nell’ultima parte della sua vita.Dei mesi a seguire Ian ricorda l’enorme sforzo per riabituarsi a essere dalla “parte giusta” e per adattarsi di nuovo allo stile di vita da cui era stato lontano per oltre tre anni.

Tornato in Australia il 28 marzo 1945, non ha mai perso di vista i suoi compagni di fuga.

Neppure il pensiero di Elda – e del torto che le aveva arrecato – lo ha mai abbandonato. Dopo anni di di silenzi ha potuto finalmente ricontattarla nell’ultima parte della sua vita.

Campi legati a questa storia

Bibliografia/Fonti

L. Oates, I. Sproule, Partigiani australiani nel biellese. Una storia vera d’amore e di guerra, Tipografia Baima & Ronchetti, Castellamonte-Torino, 2017. Ed. orig. Australian Partisan. A true story of love and conflict, written by Lynett Oates with Ian Sproule, Australian Military History Publication, 1997.

M. Soggetto, Braccati. Prigionieri di Guerra alleati in Piemonte e Valle d’Aosta, Aviani e Aviani editori, Udine, 2013.

M. Tenconi, Prigionia, sopravvivenza e Resistenza. Storie di australiani e neozelandesi in provincia di Vercelli (1943-45) in «L’Impegno», a. 28, 1 giugno 2008.

 

 


Note:

[1] Si tratta del distaccamento partigiano Nino Bixio, 2a Brigata Biella.

[2] Si tratta di un gruppo composto di australiani, neozelandesi, britannici. Tra i venti e i trenta uomini.