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Laurie du Preez

Six South African Infantry Brigade

Laurie, di professione poliziotto, si arruola nella  6th South African (Police) Brigade. Viene catturato a Tobruch il 21 giugno 1942 in seguito alla riconquista dell’area da parte delle truppe italo-tedesche comandate dal generale Rommel.

Sebbene un soldato sia sempre consapevole della possibilità di intercettare un proiettile venendo ferito o ucciso, questi si rifiuta di pensare alla possibilità di essere fatto prigioniero. Il suo addestramento è tale da dargli l’impressione che il nemico non sarà mai in grado di farlo. Una impressione stupida e priva di senso.

Laurie nel 1944 (Fonte: L.Du Preez, Inside the cage)

Fin da subito non si arrende all’idea di essere prigioniero e nel corso dei vari trasferimenti nel deserto tenta per ben due volte di fuggire, venendo tuttavia ricatturato: «Sono un po’ fatalista e ho l’impressione che il destino non voglia che scappi in questa parte del mondo… quindi aspetterò di arrivare in Italia prima di fare il mio terzo tentativo».

Passato nelle mani degli italiani a Derna, è in seguito trasferito presso un campo di transito a Bengasi, di cui descrive le asprezze: caldo, mosche, sovraffollamento, malattie, mancanza di cibo e acqua. Dopo alcune settimane è imbarcato sulla nave Rosalino Pilo con cui raggiunge il porto di Napoli; è in seguito caricato su un treno e trasportato nelle vicinanze di Roma, presso il PG. 54 di Fara Sabina, campo di recente approntamento.

Dopo essere stati identificati i prigionieri sud africani vengono separati dai britannici e alloggiati in baracche diverse. Dei difficili giorni presso il campo, Laurie ricorda la fame costante: ha perso tanti chili e rovista spesso nella spazzatura in cerca di qualcosa da mangiare. È inoltre tormentato dai pidocchi e i suoi abiti sono ormai logori. Cammina scalzo, poiché spera di non sciupare gli stivali che potrebbero tornargli utili in caso di evasione.

Molte sono state le privazioni che abbiamo subito a causa dell’amministrazione negligente degli italiani. Quando chiedevamo qualcosa a cui avevamo diritto e che avrebbe fatto un’enorme differenza per il nostro benessere, i nostri carcerieri impiegavano quattro o cinque volte più del necessario per soddisfare la nostra richiesta. Non penso lo facessero di proposito per renderci le cose difficili. Era proprio il modo di fare degli italiani per cui la parola “domani” giocava un ruolo importante. Per gli italiani c’era sempre “domani” per fare qualcosa.

L’edificio adibito a campo presso Milzanello (Fonte: L.Du Preez, Inside the cage)

Venuto a sapere che gli italiani reclutano prigionieri per alcuni campi di lavoro a nord, Laurie decide di offrirsi volontario (partono assieme a lui il compagno Len Van Onselen con il fratello Lionel e altri duecento militari). Raggiunge Sesto San Giovanni, alla periferia di Milano, dove scopre, con grande disappunto, che sarà impiegato presso una fonderia, invece che in una fattoria, come aveva sperato. Qui si ritrova a lavorare accanto agli italiani, che si dimostrano curiosi e solidali nei suoi confronti; molti, pur correndo gravi rischi, gli portano del cibo affinché possa saziarsi: «A quel tempo mi sorprese che qualcuno potesse prendersi la briga di aiutare degli estranei e di esporsi, per colpa loro, a guai seri. Ma più tardi scoprii che questo era un tratto abbastanza comune nelle classi operaie e contadine italiane».

Dopo alcune settimane a Sesto San Giovanni, riceve notizia che sarà trasferito presso un’altra struttura: si tratta del PG. 62 di Grumello del Piano. Laurie ricorda come vi fossero prigionieri di diversa nazionalità e come molteplici fossero le lingue parlate. Si tratta di un campo di transito da cui i militari sono poi smistati verso i diversi distaccamenti di lavoro. Presso il PG. 62 -che molti prigionieri chiamano “Inferno” -è presente una cella di punizione in cui vengono rinchiusi i tanti militari che tentano di evadere e che vengono ricatturati.

La permanenza di Laurie e dei suoi compagni nella struttura dura alcune settimane, ai primi di marzo viene infatti comunicato loro che saranno inviati presso uno dei distaccamenti di lavoro, questa volta si tratta di alcune fattorie della zona.

Il mattino seguente, poco dopo l’alba, uno di quegli enormi camion militari italiani ci trasportò davanti al cancello principale. Noi cinquanta, diretti alla fattoria, attraversammo il portone del campo 62 con una preghiera di ringraziamento […]. Non vedevamo l’ora di vivere la vita in fattoria. Sapevamo che sarebbe stato un lavoro impegnativo, ma almeno sarebbe stata una vita sana con cibo a sufficienza.

La località che li accoglie è Milzanello, un villaggio ad alcuni chilometri da Brescia. Laurie, in particolare, è impiegato presso la Cascina Mirabella di proprietà della famiglia Casali –che dimostra di sentimenti antifascisti- dove partecipa alla raccolta del grano. Lavora accanto ai contadini del luogo e inizia progressivamente a imparare l’italiano, mentre le sue condizioni fisiche, grazie al movimento e alle maggiori razioni di cibo, migliorano. Continua inoltre a camminare scalzo in modo da indurire i piedi e non logorare gli scarponi. È a Milzanello che, l’8 settembre 1943, lo raggiunge la notizia dell’armistizio:

La mattina seguente abbiamo scoperto che la situazione politica aveva preso la piega che molti di noi sospettavano. Le guardie non ci hanno portato nelle diverse fattorie. Ci hanno parlato nel cortile dove eravamo riuniti e ci hanno informato che i nazisti avevano preso il controllo del nord Italia. Ci dissero inoltre che un gran numero di ufficiali italiani seguiva la politica badogliana e si era ribellato al fascismo. Pochi minuti dopo le nostre guardie erano andate via.

Laurie decide di allontanarsi da Milzanello e di nascondersi per qualche giorno presso la  Cascina Mirabella dei Casali, dove altri prigionieri hanno già trovato rifugio. Un incontro inaspettato con un giovane adolescente, che gli racconta di aver sentito alla radio che molti militari evasi sono diretti in Svizzera, lo porta a riflettere e a decidere di abbandonare la zona per tentare di valicare il confine. L’intuizione si rivela giusta dal momento che pochi giorni più tardi i tedeschi fanno irruzione presso la cascina arrestando molti dei prigionieri presenti.

È il 13 settembre 1943, Laurie inizia il suo cammino verso nord, attraversando campagne e colline e beneficiando dell’aiuto dei contadini che lo sfamano e accolgono presso le loro case. Dopo aver costeggiato il lago d’Iseo raggiunge il Monte Guglielmo, dove si imbatte in un gruppo di soldati disertori dell’esercito italiano da cui riceve informazioni su come arrivare alla frontiera.

Raggiunge la Val Camonica con l’obiettivo di attraversare il fiume Oglio nei pressi di Darfo, aiutato dal parroco del paese che lo ospita presso la canonica.

Sotto una pioggia battente percorre la Val di Scalve, dove incontra Angelo e suo figlio Luigi. Questi gli suggerisce di raggiungere il villaggio di Schilpario e di rivolgersi a un suo amico che, assieme al figlio, conosce bene le montagne perché opera spesso come contrabbandiere verso la Svizzera.

A Schilpario contatta i due uomini, padre e figlio. Sotto la guida di Carlo inizia il suo cammino sulle vicine montagne, con l’obiettivo di raggiungere la Valtellina. Una tempesta di neve li sorprende in viaggio, rendendo difficile e faticosa l’arrampicata di Laurie.

La salita ora diventa più difficile per me. A differenza di Carlo, la cui esperienza pluriennale in montagna gli aveva insegnato a muoversi con sicurezza su un pendio innevato, mi ritrovavo continuamente a scivolare e ad atterrare su mani e ginocchia. […] Oltre alla stanchezza causata dalla scalata della giornata ero pervaso da una terribile sonnolenza. Ha agito su di me come una droga e mi ha così sopraffatto che ogni volta che scivolavo non cadevo più sulle mani e sulle ginocchia ma cadevo a faccia in giù nella neve.

Dopo essersi unito a un piccolo gruppo di prigionieri scortati da guide alpine, che incontra durante il tragitto percorso con Carlo, decide di proseguire da solo: scopre, tuttavia, di aver girato in tondo e di essere tornato a Schilpario. Qui sosta presso la casa di Ugo, che cerca di metterlo in contatto con un contrabbandiere del luogo affinché possa accompagnarlo fino alla Valtellina, ma dopo alcuni giorni di attesa, Laurie decide di riprendere da solo il suo viaggio, arrivando a sera presso il villaggio di Tresenda. Vi incontra Riccardo, un profondo conoscitore delle montagne locali che, vissuto in Australia, sa parlare inglese e si offre di accompagnarlo e di mostrargli il percorso che dovrà compiere per raggiungere la frontiera. Quando si salutano, Laurie ha davanti a sé l’ultimo tratto di strada da percorrere per raggiungere la libertà

Mi chiedevo se la mia fortuna avrebbe resistito e se quella notte – erano le prime ore di mercoledì 6 ottobre 1943 – sarebbe stata la mia ultima notte da latitante sul suolo italiano.

Dopo una notte di attesa, riprende il suo cammino all’alba attraversando la Valle di Poschiavo, ma non sa dove si trovi effettivamente la frontiera. D’un tratto, nei pressi di una capanna si imbatte in due uomini con l’uniforme da alpini. Temendo si tratti di fascisti, Laurie tenta di allontanarsi, ma questi gli intimano di fermarsi e di avvicinarsi. Poi, però, uno di loro gli parla in inglese chiedendogli se è un prigioniero in fuga:

Il fatto che l’altro uomo parlasse perfettamente inglese e che avesse colpito nel segno mi ha fatto sobbalzare «Sì, sono un prigioniero di guerra evaso». L’ uomo accennò un debole sorriso «Bene, sei in Svizzera adesso»
[…]
I miei guai come prigioniero di guerra erano finalmente finiti.

Campi legati a questa storia

Bibliografia/Fonti

R. Absalom, A Strange Alliance. Aspects of escape and survival in Italy 1943-45, Firenze, Olschki, 1991 (trad. it., L’alleanza inattesa. Mondo contadino e prigionieri alleati in fuga in Italia 1943-1945, Bologna, Pendagron, 2011).

L. Du Preez, Inside the Cage, Struik, Cape Town, 1973