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Carl Carrigan

(1913-1989)
Gunner, 2/3rd Anti-Tank Regiment, Australian Army

Ron Fitzergerald, Paul and Carl Carrigan dopo aver attraversato le Alpi, in Svizzera, nell’ottobre 1943.

Carl, assieme al fratello Paul e agli amici Ron Fitzgerald, Ron MacIntosh e Lloyd Ledingham, si arruola nel 1940 per spirito di avventura e con la speranza di fare qualcosa di buono per il proprio paese, l’Australia. Ha 27 anni e non ha mai varcato i confini nazionali. Salpa da Sydney il 14 novembre 1940 diretto in Medio Oriente.

È catturato in Libia il 9 aprile 1941, mentre combatte assieme ad alcune truppe indiane nell’area di Mechili; trasportato a Derna è, in seguito, trasferito a Bengasi dove viene consegnato agli italiani.

Dopo una settimana in pessime condizioni -poco cibo, caldo, disidratazione, dissenteria-  è caricato assieme ad altri prigionieri su un camion per un viaggio di quattro giorni verso Tripoli; raggiunge Sabratha, campo a 60 chilometri ad ovest della capitale libica, alla fine di aprile.

A bordo della nave Rialto sbarca a Napoli ai primi di maggio. Dopo una breve sosta presso il PG. 66 di Capua e il PG. 78 di Sulmona, il 17 luglio 1941 raggiunge in treno il nord d’Italia, trascorrendo alcuni mesi presso il PG. 118 di Prato all’Isarco, una vecchia birreria riadattata al nuovo uso:

Nella birreria trasformata in campo, Carl inizia le esercitazioni fisiche per aiutare i suoi compagni a sopportare i rigori della prigionia. Trovata una stanza inutilizzata adatta per lo scopo, si mette al lavoro su un corso di esercizi per il corpo secondo il metodo Don Athaldo, che aveva già praticato per irrobustire la sua struttura fisica relativamente minuta. Induce anche gli altri prigionieri a sedute periodiche.

Presso il campo conosce padre Giovanni Cotta, cappellano, grazie al quale riesce a trasmettere informazioni alla famiglia, che non ha più sue notizie da tempo.

Nel mese di ottobre 1941, in seguito alla chiusura del PG. 118, dopo tre mesi di reclusione relativamente buoni, Carl e gli altri prigionieri australiani sono inviati presso il PG. 57 di Grupignano: vi rimangono per diciotto lunghi mesi.

Sotto Calcaterra[1], le condizioni nel campo 57 erano estremamente dure. Il cibo era scadente e gli alloggi erano affollati e antigienici. I prigionieri avevano dovuto improvvisare le proprie cure mediche […].

[…] C’erano da sessanta a ottanta baracche, i letti contenevano circa otto persone, con quattro cuccette di sotto e quattro di sopra. Per compensare la mancanza di coperte, gli uomini dormivano rannicchiati insieme. In ogni baracca c’era una piccola stufa centrale, ma i prigionieri avevano solo una scarsa quantità̀ di legno e brucia- vano i cartoni della Croce Rossa o qualsiasi altra cosa su cui potevano mettere le mani […].

[…] In un primo momento, i pacchi salvavita della Croce Rossa arrivavano ogni tre settimane ma, col passare del tempo, quelli che contenevano cibo in scatola venivano recapitati solo ogni cinque mesi […].

Nell’aprile 1943 la sorte di Carl e dei suoi compagni cambia in modo favorevole. A causa della crescente scarsità di manodopera agricola, le autorità italiane decidono di avvalersi del lavoro dei prigionieri. Sono a tal scopo trasferiti da Grupignano in una fattoria nella zona di Selve, a pochi chilometri da Vercelli, parte del nuovo PG. 106, articolato in ventinove distaccamenti corrispondenti ad altrettante tenute agricole o cascine.

La mattina iniziava con la sveglia alle 6, seguita dalla colazione alle 7 e da mezz’ora di marcia per recarsi al luogo di lavoro. Dopo essere tornati agli alloggi per il pranzo, dovevano poi lavorare nei campi dalle 14 alle 18, prima di tornare per una cena a base di pasta e verdura. Carne e formaggio venivano serviti due volte alla settimana e tutto era accompagnato con due pagnotte. In quanto lavoratori agricoli, le razioni erano aumentate e integrate con tutto ciò̀ che potevano trovare in giro per la fattoria.

È qui che, l’8 settembre 1943, li raggiunge la notizia dell’armistizio, festeggiata sia dai prigionieri sia dalla guardie, che abbandonano da subito la struttura nel timore di essere inviate sul fronte russo all’arrivo dei tedeschi.

Nei giorni successivi il lavoro si ferma. I militari rimangono in attesa di novità. Decidono comunque di non muoversi dalla cascina. Vengono però presto a sapere che i tedeschi hanno emesso un’ordinanza in base alla quale chiunque avesse dato rifugio a prigionieri militari sarebbe stato fucilato. Questa notizia, associata alla voce che qualcuno era entrato in contatto con i partigiani, li induce, nei giorni a seguire, a dirigersi verso le Alpi Pennine per raggiungere il confine italo-svizzero.

Carl, Paul, Lloyd, Ron Fitzgerald e Ron MacIntosh si incamminano verso la vicina località̀ Tabalino-Crova, dove sostano per alcuni giorni ricevendo aiuto dalla popolazione del luogo. Il 19 settembre i tedeschi sono ormai nelle vicinanze. I cinque vengono a sapere che quella notte altri prigionieri ancora in zona si sarebbero incontrati a Selve, per proseguire poi verso una località chiamata Arro, nei pressi di Salussola.

La gente di Selve, che ormai si è affezionata alla loro presenza, venuta a conoscenza dell’imminente partenza, corre a salutarli portando in dono delle uova e altro cibo, subito consumato. I cinque fuggitivi si mettono in cammino dopo il tramonto, accompagnati da due italiani che vanno in avanscoperta. Li attende una marcia di nove ore sotto la pioggia battente e a digiuno.

Durante il cammino sostano presso la cascina di Pista Nuova, dove ricevono polenta e latte dalla gente del posto: è il loro primo pasto dopo giorni a stomaco vuoto.

Dopo un’attesa di due giorni sono finalmente raggiunti dal resto del gruppo: quasi centoquaranta ex prigionieri, cinquanta dei quali armati; trasportano un cavallo e un carro carico di mitragliatrici.

Il gruppo è guidato da Pietro[2], ex contrabbandiere, con cui si incamminano fino alle pendici delle montagne a nord della pianura padana. La missione appare fin da subito complessa a causa dell’elevato numero di uomini che si muove assieme.

Si spostano di notte e riposano di giorno. La prima tappa è Vermogno, sulle colline biellesi. Mentre si riparano in un fienile sono però sorpresi dall’arrivo dei tedeschi: Carl e quattro dei suoi compagni riescono a fuggire, Ron MacIntosh e molti altri sono invece catturati. Il gruppo di prigionieri finisce così per disperdersi.

Nei giorni a seguire sono aiutati da una giovane donna, che li fa salire sull’ultimo vagone oscurato di un tram con cui raggiungono Biella. La ragazza li ospita presso la propria abitazione, alla periferia della città, e il giorno successivo li accompagna sulle vicine colline fino a una grande colonica dove trovano riparo e ristoro. Quando si svegliarono la mattina, tuttavia, la donna e il gruppo di italiani della sera precedente sono spariti.

Raccogliendo le proprie forze, decidono di tornare a muoversi da soli e partire per il Santuario di Oropa, a circa sette chilometri a nord-est di Biella, dove operano alcuni partigiani e sono nascosti munizioni e viveri. E tuttavia, lungo la via, l’incontro con un neozelandese, che riferisce loro che un gruppo di italiani ha fatto saltare in aria tutte le munizioni e i magazzini e parla della presenza di un veicolo tedesco nei dintorni del santuario, li spinge a cambiare i propri piani. Si incamminano, allora, verso i passi montani a nord, con l’intenzione di oltrepassarli prima che la neve invernale blocchi ogni via di fuga verso la Svizzera.

Il 29 settembre 1943, dopo tre giorni senza cibo, scendono a valle. Quando giungono in un villaggio, un gruppo di bambini, incuriositi, li circonda e li conduce alla piazza del paese. dove tutti portano loro qualcosa da mangiare. Riprendono il loro cammino verso le cime montuose accampandosi presso un rifugio abbandonato.

Il 2 ottobre raggiungono la vetta del monte Turlo. Sceso sull’altro versante della montagna, il gruppo si dirige verso il villaggio di Quarazza, presso Macugnaga.

Nei boschi appena fuori l’abitato incontrarono il loro salvatore, un giovane di sedici o diciassette anni che accettò di guidarli verso la Svizzera in cambio dei loro orologi e dei cappotti. Era un giovane coraggioso, il cui fratello era stato fucilato dai tedeschi per aver portato in Svizzera un altro gruppo di prigionieri di guerra attraverso le Alpi.
Temendo che i tedeschi, che erano nelle vicinanze, li sorprendessero, li condusse a trascorrere la notte in una legnaia nel bosco. La mattina dopo si presentò e diede agli uomini una patata bollita e qualcosa da bere.
Il 3 ottobre, alle due di notte, il giovane passò a prenderli per la sortita. Portò loro caffè bollente corretto per riscaldarli dal freddo pungente e incoraggiarli nel buio pesto. Salirono su per la ripida costa della montagna, tagliando il percorso dentro a una pineta per superare la pendenza.
La luce del giorno li sorprese nella parte superiore della pineta, che d’inverno si copriva rapidamente di neve. Il ragazzo era agile come una capra di montagna e il solo Carl era in grado di restare al passo con lui.
Dopo aver raggiunto l’estremità̀ della pineta, la loro guida disse che non sarebbe andata oltre, altrimenti i tedeschi lo avrebbero potuto vedere con i loro binocoli mentre tornava al suo villaggio. Tuttavia indicò le belle montagne dicendo: «È la Svizzera».  Si trovavano oltre i tremila metri [probabilmente presso la salita del Monte Moro] quando attraversarono i nevai che imbiancavano il loro cammino in discesa verso il paese neutrale.

Giunti nelle vicinanze del confine indossano i loro abiti militari in modo che le guardie alpine possano fidarsi di loro e lasciarli passare.

Carl, Paul, Lloyd e Ron Fitzgerald rimangono in Svizzera fino al 27 ottobre 1944. Sono rimpatriati un mese più tardi.

Tornato in Australia, Carl ha svolto la sua attività di agricoltore e allevatore fino al giorno della sua morte. Ha sempre mantenuto i contatti con i compagni con cui aveva condiviso gli anni di guerra e la successiva fuga.

Bibliografia/Fonti

Australian War Memorial – https://www.awm.gov.au/collection/P11061115

C. Carrigan, Un’odissea in tempo di guerra. La storia di Carl Carrigan, soldato australiano, «L’impegno. Rivista di storia contemporanea del Vercellese, del Biellese e dal Valsesia», a. 23, n° 1, giugno 2013, pp. 33-51.

Italy to the Alps in WWII [blog by Cate Carrigan] – http://italytothealps.blogspot.com

 


Note:

[1] Si tratta di Emanuele Vittorio Calcaterra, fervente fascista, comandante del PG.57.

[2] Si tratta probabilmente di Pietro Camana, futuro comandante del battaglione “Vercelli”, poi 182a brigata “Garibaldi”, caduto in combattimento il 1 febbraio 1945.