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Stanley Skinner

WO 208/3325/48

Stanley Skinner, caporale della settima divisione corazzata del secondo battaglione del Middlesex Yeomanry, viene catturato in Nord Africa l’8 aprile 1941, durante l’offensiva delle forze dell’Asse contro Tobruch. Skinner e i suoi compagni di prigionia passano poco tempo nei campi nordafricani ma spesso vengono impiegati in mansioni proibite dalla convenzione di Ginevra perché connesse allo sforzo bellico dei loro carcerieri. A Derna, per esempio, dove Skinner trascorre una settimana, i prigionieri vengono impiegati come lavoratori nell’aerodromo mentre a Benghazi, dove resta dal 21 aprile fino al 10 maggio, lavora come facchino per scaricare carburante dalle navi che arrivano al porto. Dopo una breve sosta a Tripoli, infine, arriva in Italia il 20 maggio 1941, venendo rinchiuso dapprima nel PG 66 di Capua e quindi, a partire dal 21 giugno dello stesso anno nel PG 78 di Sulmona, dove trascorrerà i due anni successivi fino alla proclamazione dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati.

Quando la notizia della resa italiana si diffonde, e le sentinelle italiane scompaiono dal campo, Skinner e gli altri prigionieri ricevono l’ordine dal loro Senior British Officer di nascondersi nelle montagne circostanti prima dell’arrivo dei tedeschi. Braccati, i prigionieri del gruppo di Skinner finiscono per trovare rifugio nel villaggio di Roccacarmanico, sulla Maiella, ad una ventina di kilometri da Sulmona. Skinner non si dilunga nel suo racconto su questa prima sosta nel paese ma, evidentemente, i fuggiaschi ricevono l’aiuto della popolazione, che li accoglie. Tuttavia, il 10 ottobre, il gruppo è costretto di nuovo alla fuga sui monti, quando una pattuglia tedesca compare improvvisamente nel villaggio. Skinner e i suoi compagni si nascondono allora in delle caverne nella zona a 1200 metri di quota. I contadini continuano ad aiutarli, portando loro «coperte e cibo».

La durezza della vita in questo periodo e la consapevolezza che i tedeschi li stanno cercando rendono Skinner e i suoi compagni di fuga comprensibilmente nervosi:

Alla fine di ottobre diventammo preoccupati e impazienti, poiché la prevista l’offensiva [Alleata] fino a Pescara non si era realizzata. Ci fu detto che il fiume Sangro era in piena e non si poteva attraversare a nuoto e tutti i ponti erano molto ben sorvegliati. Cominciò a nevicare e dovemmo abbandonare le nostre caverne […]. Provammo a guadare il Sangro vicino a Quadri senza successo e fummo costretti a tornare al villaggio di Pacentro, vicino al nostro vecchio campo di prigionia, attraverso i monti. Gli abitanti ci accolsero e ci aiutarono in ogni modo possibile.

L’11 novembre, però, ancora una volta i tedeschi si presentano in paese, e i fuggiaschi (che incluso Skinner a questo punto sono tredici, visto che altri quattro fuggiaschi si erano uniti a loro mentre erano nascosti nelle caverne) devono tornare a nascondersi. I tedeschi, in realtà, non sono in paese per loro. Stanno rastrellando la zona per trovare lavoratori italiani da impiegare nei lavori di fortificazione del fronte meridionale. La fragilità dei rapporti tra i fuggiaschi e la popolazione locale si rivela in pieno in questo frangente quando Skinner e i suoi compagni vengono traditi:

Eravamo nelle caverne da circa un’ora quando una pattuglia tedesca entrò, guidata da un italiano, il quale a quanto pare aveva venduto gli altri quattro soldati per 1800 lire ai tedeschi; i quali rimasero molto sorpresi di trovare tredici di noi.
Fummo rinchiusi in un carcere per due giorni e quindi rimandati al campo di prigionia di Sulmona. Da lì, fummo spostati al campo 102 dell’Aquila il 18 novembre.

La fuga di Skinner si era conclusa dunque dopo poco più di due mesi ma il caporale non perde le speranze. Il PG 102 era, però, un luogo «da cui era impossibile evadere» e deve quindi attendere. Skinner rimane quindi prigioniero fino al 8 dicembre 1943 quando i tedeschi, visto l’alto numero di prigionieri nel campo, decidono di spostarne alcune centinaia in Germania. Nonostante fossero stati perquisiti prima di essere caricati sui vagoni bestiame diretti al nord, Skinner riesce a portare con sé un piccolo taglierino pieghevole con cui inizia a incidere un foro sul pavimento del vagone. Proprio mentre sta lavorando, il convoglio, ancora fermo nella stazione dell’Aquila, viene colpito in pieno dai bombardieri Alleati:

Fui sbalzato fuori dal vagone e persi conoscenza. Quando mi ripresi, mi ritrovai disteso in un cumulo di cadaveri, schiacciato da un pezzo di binario. Provai a rialzarmi, ma fu impossibile. La stazione era ridotta ad un cumulo di macerie. Molti dei vagoni che contenevano [altri] prigionieri erano avvolti dalle fiamme e l’intera stazione era cosparsa di corpi. Il deposito munizioni vicino alla stazione era stato fatto saltare in aria.

Ferito e impossibilitato a muoversi, Skinner riesce ad attrarre l’attenzione di due soldati tedeschi, i quali lo liberano dal pezzo di binario che lo schiacciava e quindi si allontanano, in cerca di altri superstiti, convinti che non sia in grado di muoversi. Tuttavia, nonostante le sue condizioni, Skinner è invece in grado di camminare e coglie l’occasione per dileguarsi nella confusione generale. Attraversa un campo e raggiunge una strada dove incontra un italiano, a cui chiede informazioni per raggiungere l’ospedale; «mi sentivo molto debole per via della perdita di sangue, ma sapevo che questa era la mia unica occasione per scappare».

Ancora una volta, si attiva la rete di protezione degli italiani in favore dei prigionieri fuggiaschi. Skinner viene ammesso all’ospedale, dove passa una durissima settimana in cui viene operato ben tre volte (ha ferite estese su tutto il corpo e pezzi di schegge penetrati in profondità vicino agli organi interni) e la sua presenza nascosta ai tedeschi. Viene messo in una stanza con altri due prigionieri britannici, anche loro feriti e anche loro ricoverati grazie all’impegno del direttore dell’ospedale. Tuttavia, anche questa volta, altri italiani fanno la scelta opposta e, l’8 gennaio 1944, nella loro stanza d’ospedale entra un sottufficiale tedesco con un’interprete:

Ero nel primo letto e mi chiese se fossi un italiano o un inglese. Risposi in italiano e provai a bluffare ma fu tutto inutile, sapeva che eravamo tutti e tre inglesi. Ero sicuro che qualcuno ci avesse venduti.

Scoperti, ai tre viene detto che sarebbero stati visitati da un dottore tedesco la mattina successiva. Nella notte uno dei tre, il caporale Richards, che era solo ferito lievemente ad una gamba, riesce a fuggire grazie all’aiuto di una ragazza italiana che procura per lui degli abiti civili.

Il mattino seguente i tedeschi arrivarono con un ufficiale medico e trovarono solo due di noi. Il nostro dottore italiano e due infermerie vennero arrestati […]. Il sergente maggiore [l’altro prigioniero ricoverato con Skinner] fu trasferito in un ospedale tedesco ma io fui lasciato lì, perché le mie condizioni erano troppo gravi per potermi spostare. Minacciarono, però, di uccidere il dottore italiano se fossi fuggito.

La minaccia non sembra però frenare lo spirito dell’ignoto dottore il quale, dopo essersi consultato con Skinner ed averlo rassicurato, fa di tutto per impedirne il trasferimento. I due si accordano infatti per lasciare aperta l’incisione dell’operazione che Skinner ha subito al colon, in modo da avere una scusa da fornire ai tedeschi per non portarlo in Germania.

Passano così alcuni mesi fino a quando, in giugno, gli Alleati non riescono infine a sfondare il fronte a Cassino. A questo punto inizia per Skinner una serie di spostamenti tra vari ospedali e lazzaretti. Inizialmente, il 2 giugno, viene trasferito nell’ospedale da campo dell’Aquila. Poi, il 7 giugno viene spostato ad Assisi, dove resta pochi giorni. Infine, il 12 giugno viene portato all’ospedale di Sansepolcro (Arezzo), dove rimane per circa una settimana. Il 18 giugno, infatti, gli viene comunicato che sarebbe stato trasferito in Germania e Skinner, a questo punto abbastanza in forze, decide di tentare nuovamente la fuga anche perché viene informato che gli Alleati si sono attestati poco a sud di Perugia.

Mi recai in chirurgia perché mi cambiassero le bende, la mia ferita al colon era ancora aperta. Mentre gli assistenti erano distratti, mi eclissai dalla stanza in cui ero e scesi al piano di sotto. Camminavo con nonchalance tenendo le mani in tasca, aspettandomi di essere fermato in ogni momento. Ero vestito con una giubba militare jugoslava grigia e un paio di pantaloni tedeschi verdi. Speravo mi scambiassero per un lavoratore italiano, perché si vestivano nei modi più disparati. Scesi tre piani di scale e uscii in strada, incrociando diversi ufficiali e soldati tedeschi senza che mi rivolgessero la parola. Una volta in strada attraversai la città, che brulicava di truppe tedesche ed entrai in una grande chiesa.

Poiché ha bisogno di costanti cure mediche (le bende sulle sue ferite devono essere cambiate regolarmente), Skinner decide che la cosa migliore si trovare nuovamente rifugio in un ospedale civile. Nella chiesa in cui è entrato incontra una donna intenta a pulire, la quale lo indirizza verso l’ospedale del paese. È ormai il tramonto quando finalmente arriva a destinazione e subito si presenta al direttore:

Mi ricevette in maniera molto cordiale e mi promise tutto l’aiuto possibile. Mi disse anche, però, che si stava prendendo un grosso rischio e temeva che qualche spia o qualche fascista potesse tradirci. Mi disse di non parlare mai in inglese e che avrebbe detto a chiunque avesse chiesto informazioni su di me che ero un soldato italiano.

Skinner passa così le successive sette settimane nell’ospedale, ricoverato insieme ad alcuni pazienti anziani, protetto dal personale italiano fino all’agosto 1944, quando gli Alleati arrivano ad un passo dal paese:

La città era piena di partigiani che si scontrarono con i pochi tedeschi rimasti e li scacciarono dal paese. Mandai un italiano al comando britannico con un messaggio, chiedendo di essere portato dietro le linee, ma mi fu risposto di attendere. Il giorno seguente (8 agosto) incrociai una jeep del corpo fotografico e loro mi condussero dietro le linee britanniche

Dopo una breve sosta, Skinner viene trasferito a Napoli e, il 18 settembre 1944, salpa sulla nave ospedale Orange, tornando finalmente in patria dopo tre anni e mezzo in Italia.

Campi legati a questa storia

Bibliografia/Fonti

TNA WO 208/3325/48, Skinner, S. Prisoners of War Section. Escape/Evasion Reports: Code MI9/SPG: 2815.