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Robert Sydney Jones

Imperial War Museums 25573

Robert Sydney Jones[1] era nato a Perth, Australia, nel 1916. Appassionato di aerei, si arruola nella Royal Australian Air Force (RAAF) nel 1939. Inizialmente, resta in Australia addestrando altri piloti ma, nell’agosto 1941, viene inviato in Medio Oriente. Il 1° dicembre 1942, durante una missione di scorta ad un bombardiere, la squadriglia di Jones viene attaccata da caccia nemici. Dopo averne abbattuto uno, è Jones ad avere la peggio ed è costretto ad un atterraggio di fortuna tra le dune del deserto a El Agheila, sulla costa libica. A questo punto, poiché è fortunatamente illeso, Jones tenta di superare le linee del fronte per tornare in territorio britannico seguendo la costa.

Durante la seconda notte di marcia, però, Jones scivola lungo il fianco di una duna e si ritrova dove non avrebbe voluto: nel bel mezzo di un accampamento nemico (si trova nei pressi di Marsa Brega). Tenta di nascondersi nella zona usata come latrina ma ormai è l’alba e viene rapidamente individuato e catturato. Dopo un breve interrogatorio e un ricco pranzo offertogli nella mensa del comando italiano, viene caricato su un camion con altri prigionieri per essere trasferito. Questo dà a Jones l’occasione per tentare la sua prima fuga:

Stavo seduto sul retro del camion e loro [gli italiani] stavano caricando persone e altre cose sul camion. Mi accorsi che un lembo di chiusura [del camion] si era allentato. Guardandomi intorno, cercando di vedere quante persone ci fossero, mi sembrò che ce ne fossero molto poche; quindi, sgusciai fuori dal camion e iniziai a camminare, percorrendo circa 80 iarde [74 metri] in direzione delle dune e di [alcuni] cespugli. Ma, una volta allontanatomi di 80 iarde […] improvvisamente udii urla e grida e mi guardai intorno. C’erano quattro tizi con le armi puntate […]. Pensai mi avrebbero sparato; alzai le mani in alto molto rapidamente.

Jones vien portato nel campo di Sirte, nel deserto. Il campo è poco più che uno spiazzo circondato da reticolati di filo spinato. Come ricorda Jones, era «solo sabbia». Tutto quello che i prigionieri (circa mille) possono fare, è camminare in tondo e chiacchierare.

Dopo un breve periodo in queste condizioni, Jones e i suoi compagni vengono spostati di nuovo, questa volta a Tripoli, dove sono alloggiati in una prigione. Con il suo compagno di cella, il sergente Cameron della RAAF,[2] Jones inizia a segare le sbarre della finestra con i seghetti che hanno in dotazione. «Non sapevo nemmeno di avere un seghetto, ma lui [Cameron] mi disse “Certo, è dentro i tuoi stivali [da aviatore]”.» Per due giorni, i due lavorano indefessamente e finalmente riescono ad aprirsi un varco e fuggire dall’edificio.

Una volta all’esterno, però, non hanno un’idea precisa di cosa fare e si dirigono semplicemente nel deserto, nonostante non abbiano provviste di alcun tipo, sperando di entrare in contatto con la popolazione locale. Dopo circa tre giorni, i due si imbattono in un gruppo di arabi vicino a Misurata, i quali li accolgono con cordialità, offrendosi di guidarli ad un’oasi più a sud. Tuttavia, giunti a destinazione, Jones e il suo compagno si rendono conto di essere stati traditi: i loro accompagnatori, infatti, li consegnano agli italiani, i quali li riportano a Tripoli.

Il giorno dopo, i due, insieme ad altri prigionieri, vengono caricati su una nave e portati a Napoli in condizioni durissime, al buio, senza cibo né acqua. Jones giunge quindi al PG 66 di Capua, dove trascorre circa due mesi in condizioni di estremo sovraffollamento e sporcizia. Nel marzo 1943 si rende protagonista con altri prigionieri di un tentativo di fuga tramite lo scavo di un tunnel, ma il gruppo viene scoperto dalle guardie. Quindi, viene spostato al PG 35 di Padula, un campo di prigionia ricavato all’interno di un monastero, dove resta fino al maggio 1942, quando viene portato al PG 78 di Sulmona.

Nel campo, Jones ritrova alcuni amici di Perth e altri che aveva conosciuto durante la guerra in Medio Oriente. Non ci vuole molto, quindi, perché Jones, rinfrancato dalla situazione, si unisca ad un gruppo di prigionieri intenti ad escogitare un piano per fuggire.

Mi dissero che erano all’opera su un tunnel […] da ormai qualche mese e che erano ormai […] al di sotto del muro [perimetrale] e avevano già superato un paio delle recinzioni di filo spinato […] e che gli mancava poco per riuscire ad evadere.

Purtroppo, però, il tunnel viene fortuitamente scoperto dalle guardie:

Erano arrivati ad un punto in cui erano quasi pronti per evadere. Tuttavia, una notte, riemersero [dal tunnel] e scoprirono di essere sbucati proprio sulla strada e questo li spaventò molto. Furono costretti a riempire la buca e coprire [l’uscita] in modo che nessuno potesse vederla. Sfortunatamente, il giorno dopo, un [civile] […] della zona stava passando con i suoi muli e uno di questi mise la zampa sulla copertura, sfondandola. Fu così che [il tunnel] venne scoperto.

Le speranze di Jones vengono così frustrate e l’australiano passa più di un anno prigioniero nel PG 78, fino all’estate del 1943. A questo punto, ricorda, le voci di un imminente sbarco Alleato nel sud dell’Italia circolavano sempre più insistentemente. Tuttavia, la speranza di venire salvato dalle truppe Alleate sembra svanire per Jones. Nel giugno 1943, infatti, viene trasferito con altri prigionieri al PG 19 di Bologna, molto più a nord. La sua permanenza in questo campo, in ogni caso, è di breve durata. L’8 settembre viene annunciato l’Armistizio e immediatamente i tedeschi occupano il campo. «Una notte una guardia italiana corse nella sala dove dormivamo e ci disse “I tedeschi sono qui! I tedeschi sono qui!”. E subito arrivarono i tedeschi e ci misero tutti […] dentro una recinzione di filo spinato».

Intorno al 10 settembre 1943, a Jones ed i suoi compagni viene annunciato che saranno trasferiti in Germania. «Ne fummo tutti molto, molto turbati». I prigionieri sono caricati su un treno diretto a nord, Jones divide il suo vagone con altri trentacinque ufficiali Alleati. A questo punto, il fisico dell’ufficiale australiano è piuttosto provato dalla prigionia. La mancanza di cibo, infatti, ha provocato per lui una perdita di peso considerevole, intorno ai venti Kg. Tuttavia, Jones non si fa scoraggiare e come lui i suoi compagni di viaggio.

Uno dei ragazzi aveva un coltello […] e qualcuno suggerì di incidere il [legno del] vagone vicino alla maniglia, e tagliammo [così] un piccolo riquadro […] sufficiente per infilarci una mano, afferrare la maniglia della porta ed aprirla. […] Intorno alle 3 di notte [del 13 novembre] […] decidemmo che fosse il momento di andare […] e saltammo giù […]. I tedeschi scoprirono che stavamo fuggendo […] e udii i colpi delle mitragliatrici. […] Fui fortunato, poiché fui il terzo a saltare […] e quando atterrai al suolo, rotolai immediatamente verso le rotaie in modo da essere protetto [dai vagoni]. Rimasi lì fino a che non fu passato l’ultimo vagone […] e [quindi] rotolai sui binari e poi giù nei campi di mais il più in fretta possibile.

La fuga è riuscita, ma Jones non sa dove si trova e nemmeno cosa fare (si trova vicino a Lavis, 10Km a nord di Trento). Vagando nei campi, incontra il tenente Mair, un altro fuggiasco e i due arrivano ad un frutteto, dove un terzo ex-prigioniero si unisce a loro, Frederic Felix Hendriques Eggleston, «Freddy», un pilota dello stesso squadrone di Jones in Egitto. Quest’ultimo si rivela fin da subito molto prezioso, sa infatti parlare perfettamente sia l’italiano che il tedesco.

I tre scoprono ben presto che non devono nascondere la loro condizione di evasi alla popolazione: «Scoprimmo che gli italiani erano anti-Mussolini […] ed anti-tedeschi. Di conseguenza, fummo in grado di ottenere […] dei vestiti per cambiarci». Resta però il problema di cosa fare. I tre decidono di tentare di raggiungere la Svizzera. Si mettono dunque in viaggio, seguendo le indicazioni degli italiani che avevano fornito loro gli abiti civili.

Un altro momento in cui l’aiuto degli italiani si rivela particolarmente importante è durante l’attraversamento dell’Adige. Il ponte a cui i tre fuggiaschi arrivano, infatti, è sorvegliato dai tedeschi su entrambe le rive, ma Jones ed i suoi compagni ricevono l’aiuto di una donna:

Vedemmo una donna […] con due bambine piccole. Lei disse a Freddy, “Siete inglesi, non è vero?” Freddy spiegò […] la nostra situazione e lei disse “Va bene, venite con me”. […] Disse a Freddy: “Tu prendimi sottobraccio, gli altri due devono tenere per mano le bambine”. […] Facemmo esattamente così e superammo le guardie senza problemi da entrambi i lati del ponte. Freddy chiacchierava amabilmente [con la donna] mentre noi ridevamo con le bambine.

La donna li guida quindi al villaggio di Fai e quindi all’inizio di un sentiero che si inerpica sui monti. I tre si mettono in marcia e in serata giungono ad Andalo, dove vengono nascosti e sfamati dalla popolazione. Passano così da un villaggio all’altro, ricevendo sempre l’aiuto dei locali.

Per fortuna, tutte le persone furono molto cooperative. […] In qualche caso riuscimmo ad ottenere da mangiare, mentre altri ci diedero semplicemente [qualcosa] da bere […]. Furono molto utili nel darci informazioni sui sentieri per attraversare le montagne.

Dopo giorni di marcia, attraverso Sant’Antonio di Mavignola, Ponte di Legno, Santa Caterina e Bormio, i tre giungono a Livigno, vicino al confine con la Svizzera. Qui entrano in contatto con alcuni contrabbandieri del posto, i quali accettano di far loro da guida in cambio di un pagamento. Fortunatamente, i tre hanno ancora con loro i propri orologi, che vendono per pagare la traversata.

Il gruppo inizia quindi la scalata intorno alle tre del mattino. Guidati dai contrabbandieri, Jones ed i suoi compagni si inerpicano lungo i pendii scoscesi delle montagne. Infine, la mattina del giorno dopo, il 21 settembre 1943, passano il confine vicino al borgo di Scanfs (oggi S-chanf) senza aver incontrato nessuno.

I tre vengono quindi presi in carico dalle forze svizzere e dalle autorità diplomatiche britanniche nel paese. Jones resta in Svizzera per circa un anno, passando poi in Francia, a Grenoble, e quindi a Roma il 3 settembre 1944.[3] Da qui, viene inviato a Londra, dove arriva nel dicembre del 1944. Resta nella capitale britannica per più di due anni, fino al marzo del 1946, quando può finalmente tornare a casa.

Bibliografia/Fonti

Imperial War Museums 25573, https://www.iwm.org.uk/collections/item/object/80023979 
AWM65 2917 – [RAAF biographical files] JONES Robert Sydney 290726

 


Note:

[1] Nei documenti dell’Imperial War Museums indicato come «Sidney».

[2] Jones si riferisce a lui solo usando quello che probabilmente è un soprannome: “Tiny” (“minuscolo”), affibbiatogli probabilmente per fare ironia sul suo aspetto. “Tiny”, infatti, era «altro un metro e novanta e dotato di una grandissima forza fisica».

[3] O forse Napoli, i ricordi di Jones sono confusi in merito.