Autore/i della scheda: Isabella Insolvibile
Dati sul campo
Comune: Caserta
Provincia: Napoli (Caserta)
Regione: Campania
Ubicazione: via Torrino 1 - Caserta
Tipologia campo: ospedale militare
Campo per: ufficiali - sottufficiali – truppa
Sistemazione: accantonamento
In funzione: da 05/1941 al 08/1943
Comando/gestione del campo: Col. Giuseppe D’Ambrosio (? -?)
Cronologia:
Marzo 1941: parte della struttura è destinata ai prigionieri alleati
18 agosto 1942: il ten. Reeves, scappato da Capua, muore a Caserta per le ferite ricevute.
29 settembre 1942: uccisione del soldato Jilani.
Ottobre 1942: il magg. Stuppell scappa dall’ospedale .
Novembre 1942: il fuciliere Davies, scappato da Capua, muore a Caserta per le ferite ricevute.
Marzo 1943: la struttura viene destinata ai nazionali. La gran parte dei prigionieri è trasferita altrove.
Presenza dei prigionieri alleati nel campo di Caserta
Data | Generali | Ufficiali | Sottufficiali | Truppa | TOT |
01/03/1942 | 26 | 40 | 225 | 291 | |
01/04/1942 | 18 | 15 | 97 | 130 | |
01/05/1942 | 21 | 14 | 87 | 122 | |
01/06/1943 | 18 | 16 | 90 | 124 | |
01/07/1942 | 46 | 76 | 523 | 645 | |
01/08/1943 | 67 | 59 | 393 | 519 | |
30/09/1942 | 74 | 80 | 659 | 813 | |
31/10/1942 | 68 | 78 | 607 | 753 | |
30/11/1942 | 49 | 119 | 926 | 1094 | |
31/12/1942 | 57 | 117 | 882 | 1056[1] | |
31/01/1943 | 65 | 63 | 490 | 618[2] | |
28/02/1943 | 16 | 26 | 224 | 266[3] | |
31/03/1943 | 8 | 12 | 114 | 134[4] | |
30/04/1943 | 8 | 9 | 95 | 112[5] | |
31/05/1943 | 9 | 9 | 59 | 77[6] | |
30/06/1943 | 6 | 6 | 69 | 81[7] | |
31/08/1943 | 13 | 13 | 152 | 178[8] |
Storia del campo
Allocato in una struttura di metà Ottocento, l’ospedale militare di Caserta è, per un lungo periodo, il più grande nosocomio italiano destinato ai prigionieri di guerra nemici. Esso accoglie anche militari nazionali e, in settori a parte, civili. L’ospedale è la principale meta di destinazione dei prigionieri feriti trasferiti dai campi africani, alcuni dei quali, in condizioni estremamente critiche – tali da essere “inamovibili” secondo la Convenzione di Ginevra – finiscono per morire a Caserta a causa delle ferite riportate in combattimento o per i malanni contratti nei tremendi campi di transito africani. Il rappresentante ICRC scrive nel rapporto del novembre 1942:
In una missiva riservata al presidente dell’ICRC, il delegato è ancora più esplicito:
Caserta dovrebbe funzionare da ospedale di transito e smistamento verso strutture minori, ma in realtà i prigionieri spesso ci restano per tutto il tempo della loro degenza. Oltre alle ferite di battaglia, i militari alleati sono afflitti da diversi malanni e sindromi, non di rado accompagnati dalla dissenteria, che è una delle principali cause di morte. Ne soffriva, infatti, quasi la metà dei deceduti presso il nosocomio campano.
La struttura presenta numerose criticità, non ultima la compresenza di degenti così diversi, ma a complicare la permanenza dei prigionieri a Caserta sono soprattutto tre fattori: la regolare manomissione dei pacchi inviati da casa o dalla Croce Rossa Internazionale, che priva gli uomini ricoverati di beni che per loro, ancor più che per tutti i commilitoni detenuti in Italia, si rivelano subito di prima necessità; la scarsità di rifornimenti e scorte, anche in medicinali ed equipaggiamenti sanitari e infermieristici, che affligge tutte le strutture italiane, comprese quelle ospedaliere; l’atteggiamento ostruzionista, quando non ostile, di parte del personale detentore, compreso quello medico. Stando alle fonti, infatti, a Caserta, i medici italiani non gradiscono, e fanno di tutto per impedire, le intromissioni da parte dei medici prigionieri. Gli italiani, tuttavia, non sono sempre presenti nella struttura, e finiscono così per privare i degenti della necessaria assistenza. Questo complica notevolmente la situazione, che nei rapporti della Croce Rossa Internazionale e dei rappresentanti della potenza protettrice appare, invece, molto meno critica di quanto non sia in realtà. Come accade quasi regolarmente, forte è la divergenza tra ciò che riferiscono gli osservatori esterni e le testimonianze dei prigionieri, tra i quali vi sono vari ufficiali medici. Nel caso specifico, i funzionari svizzeri ritengono che i rappresentanti dei prigionieri esagerino nell’evidenziare le carenze dell’ospedale. Invece, un ufficiale medico prigioniero riferisce, ad esempio, di sentinelle non addestrate a gestire un tipo particolare di degenti, i malati mentali, le cui intemperanze sono, volutamente o meno, scambiate per atti di ribellione, indisciplina, fuga. Il 29 settembre 1942, il pachistano Ghulam Jilani, ventunenne, dichiarato mentalmente instabile dai medici britannici e italiani, viene ucciso proprio a causa dell’incompetenza delle guardie. Jilani, a quanto pare, aveva ignorato l’ordine di fermarsi mentre stava lasciando il reparto, passando davanti alle sentinelle, che gli avevano sparato mentre scendeva per le scale (dunque alle spalle). I compagni di prigionia avrebbero sostenuto che Jilani si stesse recando alle latrine, dato che, tra l’altro, soffriva di una grave forma di dissenteria.
La responsabilità principale del cattivo trattamento al quale sono sottoposti i prigionieri malati di Caserta è, secondo i medici britannici, degli ufficiali italiani al comando del campo. Tra questi, il colonnello Bertoni, che nutre sentimenti fascisti e fortemente ostili nei confronti degli uomini che detiene. Anche il delegato dell’ICRC che visita l’ospedale nel novembre 1942, pur in un rapporto generalmente positivo, fa notare che, nonostante la buona volontà, a suo dire, di Bertoni, i rapporti tra il personale medico italiano e quello prigioniero lasciano molto a desiderare. In molti casi, infatti, i dottori alleati non vengono neanche consultati e, comunque, essi non possono visitare i pazienti per molte ore della giornata, cioè quando vengono effettuati gli accertamenti da parte del personale italiano. Le loro visite non possono avvenire senza scorta e pure le divergenze sui trattamenti medici sono notevoli, per quanto i prigionieri non possano fare prescrizioni né, ovviamente, somministrare medicinali. Questo, senza contare che, non di rado, i dottori italiani rifiutano di servirsi degli interpreti e così finiscono per non comprendere i degenti e sbagliare diagnosi e terapie. Anche quando, tuttavia, la collaborazione riesce in qualche modo a instaurarsi, l’inefficienza generale impedisce una cura efficace dei prigionieri. Un medico britannico riferirà successivamente:
Oliver Ive, altro ufficiale medico britannico in servizio a Caserta, precisa:
Il tenente colonnello M.R. Sinclair avrà poi modo di aggiungere che
Le operazioni urgenti dei prigionieri britannici vengono regolarmente rimandate se le sale operatorie servono a intervenire su italiani. L’unico personale nazionale mostratosi gentile e disponibile nei confronti dei pazienti alleato è rappresentato dalle crocerossine, «especially recruited by the Princess of Piedmont for the main P.W. hospitals» [TNA, TS 26/709]. La stessa Maria Josè compie numerose visite a Caserta, procurando appunto le infermiere della Croce Rossa che, tuttavia, vengono regolarmente allontanate dal comando dell’ospedale, forse perché troppo ben disposte nei confronti dei prigionieri degenti.
Nell’ottobre 1942 avviene l’unico tentativo di fuga dall’ospedale casertano: il maggiore Stuppell riesce a scappare e a raggiungere la lontanissima frontiera svizzera, dove viene ricatturato e inviato in un campo di punizione, probabilmente a Gavi, a scontare 30 giorni di arresti. Un suo compagno di Caserta, un altro ufficiale medico prigioniero che forse lo ha aiutato nell’evasione, viene trasferito al campo di Capua con l’obbligo di firma – cioè di farsi notare dalle guardie – ogni cinque minuti.
A Caserta muoiono alcuni dei fuggitivi dal campo di Capua, cioè il tenente Joseph Henry Reeves il 18 agosto 1942 e il fuciliere Colin Davies nel novembre dello stesso anno.
Dal marzo 1943 la struttura campana perde man mano importanza, almeno per quanto riguarda i prigionieri, che vengono trasferiti altrove in quantitativi man mano più consistenti. L’ospedale viene destinato solo ai nazionali, anche se alcuni prigionieri resteranno a Caserta fino all’armistizio.
Nel dopoguerra, il cattivo trattamento dei degenti a Caserta diventa oggetto d’indagine. Sulla lista dei war criminals compare il nome del colonnello Giuseppe D’Ambrosio, a capo dell’ospedale e responsabile, secondo le autorità britanniche, del cattivo trattamento dei prigionieri e della morte di Jilani. Secondo l’UNWCC, i capi d’accusa relativi al trattamento sono i seguenti:
2. There was no or no sufficient nursing service provided.
3. No provision was made for Prisoners to obtain the benefits of fresh air and exercise.
4. No proper diet was provided in cases where diet was essential to recovery.
5. The Italian personnel at the Camp was harsh and brutal and on at least one occasion assaulted a sick prisoner, placed him in detention and kept him handcuffed. […].
6. Letters and reports of the Prisoners were not forwarded, particularly those to the Protectin Power.
7. Prisoners were not treated with respect or protected, nor treated with humanity and properly cared for medically. [TNA, TS 26/781]
Anche il col. Bertoni, secondo in comando, finisce sulla lista dei criminali, ma sia lui sia D’Ambrosio vengono rilasciati già nei primi mesi del 1946, poiché le autorità inquirenti alleate finiscono per ritenerli più incompetenti che colpevoli di crimini di guerra.
Nel novembre del 1943 l’ospedale viene occupato dagli Alleati per i propri degenti, mentre i civili italiani sono ricollocati nell’ospedale di Maddaloni. Alcuni spazi sono destinati agli uffici delle autorità di occupazione, che li utilizzano fino al 1947.
Nel 1952 la struttura ritorna alla sua destinazione di ospedale militare italiano. A lungo usata successivamente e rinominata “Caserma Gennaro Tescione” (dal nome di un ufficiale caduto a Rodi dopo l’armistizio), è stata in parte demolita e in parte riqualificata negli ultimi anni.
Fonti archivistiche
- Archivio Apostolico Vaticano, IAC, UIV, Sez. prig. ingl., b. 447
- Archivio Apostolico Vaticano, IAC, UIV, Sez. Segr., b. 518
- Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Aeronautica, Gabinetto, b. 70, Verbali e Notiziari della Commissione Interministeriale per i Prigionieri di Guerra
- Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione Generale Pubblica Sicurezza, A5G, II GM, bb. 116, 117, 118 e 140, Verbali e Notiziari della Commissione Interministeriale per i Prigionieri di Guerra
- Archivio Centrale dello Stato, Onorcaduti, b. 1
- Archivio del Comité international de la Croix-Rouge, BG-003-24-6, 9
- Archivio Ufficio Storico Stato Maggiore dell’Esercito, H8, b. 79
- Archivio Ufficio Storico Stato Maggiore dell’Esercito, L10, b. 32
- The National Archives, TS 26/95, 136, 707, 709, 781
- The National Archives, WO 224/158
- The National Archives, WO 361/1931
Bibliografia
- Absalom R., A Strange Alliance. Aspects of escape and survival in Italy 1943-45, Firenze, Olschki, 1991 trad. it. L’alleanza inattesa. Mondo contadino e prigionieri alleati in fuga in Italia (1943-1945), Bologna, Pendagron, 2011
- Barber N., Prisoner of war. The story of British prisoners held by the enemy, London [etc.], George Harrap, 1944
- Giorgi L., La chiesa ed il convento di san Francesco di Paola in Caserta dalla fondazione agli anni Ottanta del Novecento (1606-1980), in "Quaderni", n. 8, Caserta, Associazione Civitas Casertana, 2008
- Horn K., In enemy hands. South Africa’s POWs in World War II, Johannesburg & Cape Town, Jonathan Ball Publishers, 2015
- Insolvibile I., I prigionieri alleati in Italia 1940-1943, tesi di dottorato, Dottorato in "Innovazione e Gestione delle Risorse Pubbliche", curriculum “Scienze Umane, Storiche e della Formazione”, Storia Contemporanea, Università degli Studi del Molise, anno accademico 2019-2020,
- Satow, H., See M.J. , The work of the Prisoner of War Department during the II World War, London, Foreign Office, 1950