Autore/i della scheda: Isabella Insolvibile
Dati sul campo
Comune: Bari
Provincia: Bari
Regione: Puglia
Ubicazione: Torre Tresca - Bari
Tipologia campo: transito - smistamento - contumaciale
Numero convenzionale: 75
Numero di posta militare: 3450
Campo per: ufficiali - sottufficiali – truppa
Giuristizione territoriale: IX Corpo d’Armata
Scalo ferroviario: Bari
Sistemazione: attendamento, baraccamento
Capacità: più di 4000 posti di cui 500 per ufficiali
In funzione: da 05/1941 al 07/1943
Comando/gestione del campo: Capitano Antonio Sommavilla (febbraio 1942), Maggiore Germano Armellini (marzo-giugno 1942), Tenente colonnello e poi Colonnello Stefano Orofalo (luglio 1942-aprile 1943), Col. Petragnani (maggio 1943), Col. Orofalo (giugno -luglio 1943)
Cronologia:
Maggio 1941: il campo entra in attività
30.11.1941: il capitano Playne e il tenente Cooke scappano dal campo e vengono ricatturati. Poche ore più tardi, in un incidente mai chiarito, Playne viene ucciso e Cooke ferito dal personale italiano
30.12.1941: decesso del tenente H.E. Linton
Marzo 1942: ferimento del maggiore Noel Reeves in un presunto tentativo di fuga
16 luglio 1943: uccisione del soldato Patrick Grogan da parte di una sentinella
Maggio 1943: decesso di 13 prigionieri di Torre Tresca impiegati presso l’aeroporto di Foggia
Estate 1943: chiusura del campo
Estate 1945: processo ed esecuzione della condanna a carico del gen. Nicola Bellomo
Presenza dei prigionieri alleati nel campo di Bari
Data | Generali | Ufficiali | Sottufficiali | Truppa | TOT |
1.3.1942 | 123 | 10 | 82 | 215 | |
1.4.1942 | 25 | 27 | 148 | 200 | |
1.5.1942 | 3 | 8 | 91 | 102 | |
1.6.1942 | 8 | 16 | 113 | 137 | |
1.7.1942 | 709 | 16 | 54 | 779 | |
1.8.1942 | 1455 | 216 | 1942 | 3613[1] | |
1.9.1942 | 739 | 78 | 785 | 1602[2] | |
30.9.1942 | 209 | 36 | 229 | 474[3] | |
31.10.1942 | 105 | 116 | 1382 | 1603 | |
30.11.1942 | 143 | 94 | 729 | 966[4] | |
31.12.1942 | 215 | 382 | 1813 | 2410[5] | |
31.1.1943 | 184 | 256 | 1421 | 1861[6] | |
28.2.1943 | 143 | 256 | 1424 | 1823[7] | |
31.3.1943 | 30 | 58 | 562 | 650[8] | |
30.4.1943 | 56 | 167 | 1661 | 1884[9] |
Storia del campo
Il campo di Torre Tresca, alla periferia di Bari, è noto per l’episodio che vi avviene nei primi mesi del suo funzionamento, cioè l’uccisione di un ufficiale inglese prigioniero e il ferimento di un suo commilitone da parte dei detentori italiani. Tra questi, il generale Nicola Bellomo, l’unico ufficiale delle forze armate regolari italiane a essere stato giustiziato dagli Alleati quale criminale di guerra.
Al di là di questo episodio, del quale si dirà in seguito, il campo di transito di Torre Tresca si distingue, insieme a quello di Capua, come il peggiore in Italia. Entra in attività nel maggio del 1941 e accoglie prigionieri provenienti dai tremendi campi africani, che vi arrivano in condizioni tragiche, come quelle descritte dall’aiutante di campo nel periodo compreso tra la fine del 1942 e il gennaio del 1943:
Concepito come campo di smistamento per periodi brevi, in realtà anche a Torre Tresca i prigionieri stazionano a lungo, spesso per mesi (fino a sette, dicono le fonti), in attesa del trasferimento in un sito definitivo. Le condizioni del campo migliorano, come accade di solito, quando esso non risulta sovraffollato e durante la bella stagione. Purtroppo, il campo di Torre Tresca è spesso riempito oltre misura, e i prigionieri sono perlopiù alloggiati in attendamenti, con poche baracche riservate agli ufficiali. I nemici catturati non ricevono vestiario di ricambio e rimangono con gli abiti che indossavano al momento della cattura in Africa, quindi con l’equipaggiamento estivo. A ciò si aggiunge il fatto che il campo non è riscaldato in alcun modo, il cibo distribuito è scarso, secondo il medico inglese addirittura insufficiente per uomini a riposo. Il giornalista Noel Barber scriverà:
A conferma dell’analisi di Barber c’è, ad esempio, il caso del decesso del tenente sudafricano H.E. Linton, di 31 anni. Arrivato a Torre Tresca alla fine del 1941, l’ufficiale è gravemente malato ma, a quanto si sosterrà, non gli viene prestata alcuna assistenza. Trasferito in ospedale solo dopo quattro giorni, gli viene diagnosticata una forma di angina ulcero membranosa che in poco tempo produce una setticemia che lo porta alla morte. La denuncia britannica del dopoguerra, basata sulla segnalazione della Legazione svizzera, fa riferimento a un cattivo trattamento ricevuto anche nel nosocomio, dove il tenente sarebbe stato abbandonato a se stesso.
Se cibo e cure mediche mancano, in compenso pidocchi e altri parassiti imperversano nel campo di Torre Tresca, rendendo le epidemie un pericolo concreto e permanente. Tutte le inadempienze, compreso l’irregolare arrivo dei pacchi della Croce Rossa, vengono giustificate dagli italiani con la consueta scusa della transitorietà della struttura.
A fine 1942 molte delle installazioni del campo sono già fatiscenti; in tanti locali mancano illuminazione e vetri, e ci sono copiose infiltrazioni d’acqua dai soffitti e dai muri, mentre alcuni impianti risultano ancora in allestimento. Dopo la visita del maggio del 1942 e fino al marzo del 1943 i delegati della potenza protettrice e della Croce Rossa Internazionale non vengono più ammessi neanche a Torre Tresca, come negli altri campi meridionali. Le fonti non ci forniscono le motivazioni di questa decisione, ma va notato che essa coincide con il periodo di maggiore afflusso di prigionieri in Italia e quindi, verosimilmente, di maggiori difficoltà organizzative da parte dei detentori. Quando, finalmente, i delegati tornano, notano però che le baracche in legno sono state sostituite da caseggiati in muratura, che danno l’impressione di essere ben puliti, arieggiati e luminosi. Erano stati anche riscaldati, nei mesi più freddi. Come in passato e negli altri campi, le opinioni degli osservatori internazionali divergono nettamente da quelle dei prigionieri.
Nella primavera del 1943, non essendoci più arrivi dai fronti africani, il sito di Torre Tresca viene trasformato in un campo base cui afferiscono diversi distaccamenti di lavoro. Le squadre, composte di un minimo di 50 prigionieri, sono tutte impiegate in agricoltura tranne una, occupata presso l’aeroporto di Foggia (forse al servizio dei tedeschi fin dal gennaio del 1943). Qui, una serie di attacchi aerei, nella primavera-estate di quell’anno, provoca la morte di 13 prigionieri, 9 indiani e 4 sudafricani, tutti distaccati dal sito barese.
Il campo di Torre Tresca viene disciolto dopo lo sbarco alleato in Sicilia, nell’estate del 1943. Nel dopoguerra è stato utilizzato come campo profughi: durante questo periodo vi viene costruita una chiesa che resta come unica traccia visibile della storia del sito, o almeno di una sua parte.
A differenza di Capua, Torre Tresca è considerato uno dei peggiori campi d’Italia non tanto per le condizioni materiali, tutto sommato ordinarie – cioè mediocri quanto quelle di altri campi di transito – quanto per la palese ostilità del personale italiano nei confronti dei prigionieri che detiene. Le denunce e le proteste per Torre Tresca sono diverse e numerose, comprendendo accuse relative al personale protetto indebitamente trattenuto come prigioniero di guerra, le pratiche di borsa nera tra sentinelle e prigionieri, le condizioni igieniche del campo, il sovraffollamento delle baracche etc. Il comportamento dei detentori, tuttavia, rappresenta proprio il punto principale, e difatti, quando l’United Nations War Crimes Commission apre i fascicoli d’indagine per i cosiddetti «Bari cases» (violazione di diversi articoli della Convenzione di Ginevra, omicidio, ferimento volontario, aggressione etc.), si precisa che
I detentori di Torre Tresca vengono accusati di maltrattamenti fisici e psicologici, indifferenza nei confronti dei bisogni primari dei prigionieri, furti compiuti ai loro danni (soprattutto nei pacchi inviati da casa e dalla Croce Rossa), lavoro proibito presso l’aeroporto di Foggia, ma anche gravi violenze, a partire da quelle contro i fuggitivi e gli aspiranti tali. Il primo caso, nonché il più noto nella storia della cattività in Italia, avviene nel 1941, nella tarda serata del 30 novembre. L’episodio vede coinvolto, come si diceva, il generale Nicola Bellomo: nato a Bari nel 1881 e decorato durante la Prima guerra mondiale, nel 1941 Bellomo è addetto al presidio militare del capoluogo pugliese, e in tale veste, nel febbraio di quell’anno, si occupa della cattura dei paracadutisti impegnati nell’operazione Colossus. La sera del 30 novembre Bellomo interviene al campo di Torre Tresca – in quel periodo ancora in pieno allestimento e presumibilmente comandato dal capitano Antonio Sommavilla – per gestire le operazioni successive alla ricattura di due prigionieri, il capitano George Playne e il tenente Roy Rostron Cooke. I due, poche ore prima, sono scappati dal campo attraverso un’apertura nel filo spinato. Giunto a Torre Tresca, Bellomo fa chiedere ai due fuggitivi di mostrare il punto da dove fosse avvenuta l’evasione. Nelle fasi concitate che seguono, i detentori sparano contro i due ufficiali, e forse lo stesso Bellomo apre il fuoco. Il generale e gli altri sosterranno, nell’inchiesta italiana che segue immediatamente l’incidente, che i britannici abbiano provato a scappare di nuovo, cosa in realtà altamente improbabile, perché in quel momento i due erano ben consapevoli di muoversi sotto gli occhi attenti di tutto il campo. La dinamica dei fatti non sarà mai chiarita, ma le conseguenze sono evidenti: Playne, colpito all’orecchio sinistro e alla nuca, muore poco dopo, mentre Cooke se la caverà con una ferita alla coscia sinistra (e la posizione di tale ferita, mai definitivamente acclarata, sarà ovviamente una delle ragioni della contesa). Le indagini italiane si chiudono velocemente non attribuendo alcuna responsabilità al personale connazionale, a partire da Bellomo. L’indagine britannica, invece, avrà tutt’altro esito e si concluderà, dopo un processo problematico al quale verrà data ampia risonanza, ma la cui “correttezza” suscita ancora oggi molti dubbi, con la condanna a morte del generale italiano. La condanna, precocissima nei tempi e tra le prime e attribuite dagli Alleati ai militari dell’Asse, viene eseguita l’11 settembre 1945 presso il carcere di Nisida (NA). Bellomo viene giustiziato nonostante il fatto che sia stato, anche, uno dei pochi alti ufficiali dell’esercito italiano, in servizio sul territorio metropolitano, a schierarsi apertamente contro i tedeschi dopo l’armistizio, salvando il porto di Bari – poi ampiamente utilizzato durante la campagna d’Italia – dalle distruzioni degli ex camerati. Per questo episodio, al generale verrà assegnata dalla Repubblica italiana, nel 1951, la medaglia d’argento al valor militare.
Il “caso Bellomo” è il più consistente dei «Bari cases», ma di certo non l’unico. Dopo la guerra, i britannici aprono fascicoli d’indagine per tutti gli episodi di violenza avvenuti a Torre Tresca nonché, ovviamente, per il complessivo cattivo trattamento dei prigionieri là detenuti. Un’indagine riguarda il ferimento, nel marzo 1942, del maggiore britannico Noel Reeves, che ha tentato di fuggire – almeno secondo l’inchiesta italiana – insieme al commilitone Lewis (Reeves sostiene però che non sia così). Se Reeves se la cava con una ferita, molto peggio va, il 16 luglio dello stesso anno, al soldato britannico Patrick Grogan, che viene ucciso da una sentinella la quale, forse dopo avergli intimato l’alt, gli spara perché lui non si è fermato. Si tratta di un altro caso dubbio che però, paragonato allo scalpore che ha e avrà la vicenda di Playne e Cooke, passa completamente in sordina. Stando alle testimonianze raccolte per l’inchiesta italiana, quella sera il soldato Filippo Casullo ha il compito di sorvegliare una catasta di paglia destinata ai giacigli dei prigionieri. Notata un’ombra e poi una persona nei pressi della stessa, Casullo intima il chi va là e l’alt, ma il prigioniero, probabilmente spaventato, comincia a correre. A quel punto il soldato gli spara, uccidendolo all’istante. Non si sa quali fossero le intenzioni di Grogan; in ogni caso, le autorità del campo stabiliscono che nulla sia imputabile a Casullo, che viene anzi premiato con una licenza. Quando, però, i britannici esaminano le dichiarazioni del personale italiano, vi notano alcune incongruenze, a partire dal fatto che Casullo sembra aver fatto fuoco contro un prigioniero che correva verso gli attendamenti e non verso il filo spinato (Grogan era infatti stato colpito al petto, non alla schiena), quindi verso l’interno del campo e non verso il suo esterno. Non può trattarsi, dunque, di un tentativo di fuga, e questo porta alla formulazione di un’accusa per crimine di guerra. Casullo viene arrestato nel gennaio-febbraio 1946, ma nel maggio successivo riesce a scappare dal campo, in un’evasione di gruppo che vede coinvolti altri 18 presunti criminali di guerra italiani e tedeschi. Non verrà più rintracciato.
Nella lista dei war criminals compilata dai britannici alla fine della guerra compare, comunque, tutto lo staff del campo di Torre Tresca, a partire dal famigerato capitano Antonio Sommavilla, considerato dai britannici l’accusato italiano n. 1. Secondo un funzionario del Treasury Solicitor il campo è stato «conducted without regard to the provisions of the Geneva Convention» [TNA, TS 26/711]. Eppure, nonostante la palese colpevolezza di alcuni degli indagati, nessuno di loro pagherà come Bellomo. A partire proprio da Sommavilla: descritto dai testimoni come un tipo violento, pronto a malmenare personalmente i soldati nemici, dedito all’alcol, viene processato il 13 febbraio 1946 da un tribunale militare alleato per una sua eventuale partecipazione all’uccisione di Playne e al ferimento di Cooke. È solo uno dei casi che lo vedono tra gli imputati, perché Sommavilla risulta coinvolto in numerosi altri procedimenti, e ciò dimostra, secondo gli inquirenti, «a consistent attitude towards British prisoners of war in that they were frequently struck by Captain Sommavilla and shot at by the sentries» [TNA, WO 311/306].
A differenza di Bellomo, però, Sommavilla viene assolto. Per un po' il Jag, convinto della sua colpevolezza, non si dà per vinto e continua a cercare le prove per incriminarlo per altri reati, commessi a Torre Tresca o altrove. È inutile: già nell’aprile 1946 si decide di non procedere più contro di lui.
Il maggiore Germano Armellini e il colonnello Stefano Orofalo, così come il tenente colonnello Antonio Lattanzio, tutti a Torre Tresca, sono ugualmente sulla lista dei war criminals, e vengono tutti assolti. In particolare, il col. Orofalo, comandante del campo implicato nel caso Grogan, viene ritenuto non responsabile del comportamento della sentinella Casullo. A proposito di Orofalo e Armellini, un colonnello del Jag scriverà addirittura che «it does not seem to me that either of these officers can be held criminally responsible for the conditions at P.G. 75. Conditions there were not those to be found in British Prisoners of War Camps, but, when these conditions are compared with those of other camps in Italy (even the ordinary Italian Barracks), you may feel that, on this aspect of the case, no charge should be brought». [TNA, WO 311/316]
L’unico ufficiale di Torre Tresca che verrà punito per il suo comportamento nei confronti dei prigionieri alleati – per quanto con una pena minima – è l’ufficiale interprete, il sottotenente Ipparco Espinosa. Nel campo, Espinosa si rende responsabile di vere e proprie torture, come quella subita dal tenente Chesney: ricatturato e riportato a Torre Tresca dopo una fuga durata sei ore, Chesney viene lasciato legato a una catena per cani per altrettante ore proprio da Espinosa, in modo così brutale da procurargli delle ferite, quindi incarcerato per diversi giorni. È Espinosa ad attribuire punizioni severissime per offese minime, come aver riso durante un appello. L’episodio che gli costa la condanna riguarda il capitano Montagu Nixon-Eckersall che, insieme ad altri, tenta di fuggire nella notte tra il 21 e il 22 gennaio 1943. Ricatturati, gli evasi vengono rinchiusi in celle sporche e infestate dai parassiti, interrogati da Espinosa e Lattanzio, e poi malmenati, da carabinieri e guardie, sulla base delle direttive che prevedono, pare, di non colpire i prigionieri al volto, in modo che non si notino i segni. Espinosa, processato nell’ottobre 1946, viene condannato a tre anni di prigione, poi ridotti a due, che sconterà a Procida. All’epoca del processo, la posizione di Lattanzio viene stralciata per motivi non chiari, e quando, successivamente, si decide che sia da considerare tra i colpevoli, la stagione processuale è ormai chiusa.
Quello che emerge dalle indagini postbelliche è il quadro di un campo duro, gestito da personale palesemente ostile ai prigionieri e pericoloso nel modo di comportarsi. Ad esempio, sono numerose le segnalazioni relative al “grilletto facile” di tante guardie. Già nel 1944, un rapporto fa riferimento a due episodi in cui tre prigionieri alleati – il maggiore cappellano McDowall nel primo e i maggiori Reeves e Lewis nel secondo – rischiano seriamente la vita per gli spari delle sentinelle. Di Reeves e Lewis si è detto; padre McDowall, invece, viene arrestato e trascorre 24 ore in cella dopo che una sentinella del campo gli ha sparato, per fortuna mancandolo, mentre rientrava nella baracca dopo essere stato alle latrine. Anche questo episodio diviene, nel dopoguerra, un capo d’accusa, così come l’emissione di ordini criminali che prevedono che le sentinelle sparino in ogni caso sui prigionieri che tentino di evadere; il maltrattamento, i pestaggi e anche la tortura, di singoli nemici detenuti, che hanno provato a scappare o che in altri modi hanno infranto la rigida disciplina del campo; il ferimento di prigionieri da parte delle guardie; la mancata cura dei malati. Come si è detto, però, tutte queste accuse, sostanziose e provate, porteranno a esiti giudiziari più che deludenti, facendo di Torre Tresca un simbolo doppio e contraddittorio: da un lato, il campo fu il luogo in cui si verificò uno dei pochissimi crimini di guerra italiani considerato come tale dagli Alleati e punito con la pena suprema; dall’altro lato, Torre Tresca fu anche l’esempio più evidente dell’impunità diffusa e generalizzata che contraddistinse la storia, misconosciuta, dei “cattivi italiani”, che vide il generale Bellomo trattato come il capro espiatorio di un intero paese.
Fonti archivistiche
- Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Aeronautica, Gabinetto, b. 70, Verbali e Notiziari della Commissione Interministeriale per i Prigionieri di Guerra
- Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione Generale Pubblica Sicurezza, A5G, II GM, bb. 116, 117, 118 e 140, Verbali e Notiziari della Commissione Interministeriale per i Prigionieri di Guerra
- Archivio del Comité international de la Croix-Rouge, BG-003-24-6, 7
- Archivio Ufficio Storico Stato Maggiore dell’Esercito, H8, b. 79
- Archivio Ufficio Storico Stato Maggiore dell’Esercito, L10, b. 32
- The National Archives, TS 26/95, 681, 711, 727, 728, 729, 775, 776
- The National Archives, WO 204/291
- The National Archives, WO 224/132, 157
- The National Archives, WO 310/8, 9, 10, 19
- The National Archives, WO 311/306, 316, 320, 330, 826, 1189, 1205
- The National Archives, WO 361/1799, 1903
Bibliografia
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Risorse online
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- https://www.barinedita.it/storie-e-curiosita/n3688-bari-la-storia-della-baraccopoli-di-torre-tresca--%C2%ABli-vissi-l-estate-piu-lunga-della-mia-vita%C2%BB-, in barinedita.it
- https://www.cwgc.org/find-war-dead/casualty/2076368/linton,-/, in cwgc.org
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