Autore/i della scheda: Isabella Insolvibile
Dati sul campo
Comune: Gavi Ligure
Provincia: Alessandria
Regione: Piemonte
Ubicazione: Forte di Gavi - Gavi Ligure
Tipologia campo: punizione, concentramento
Numero convenzionale: 5
Numero di posta militare: 3100
Campo per: ufficiali, misto
Giuristizione territoriale: Difesa Territoriale Alessandria
Scalo ferroviario: Serravalle
Sistemazione: accantonamento
Capacità: 190
In funzione: da 06/1942 al 08/09/1943
Comando/gestione del campo: Ten. Col., poi Col. Giuseppe Moscatelli
Cronologia:
Giugno-luglio 1942: il forte di Gavi comincia a essere utilizzato come luogo di punizione e reclusione per ufficiali alleati
Estate 1942: primo tentativo di fuga, da parte del sergente Mandel
Inverno-primavera 1943: al campo sono assegnati alcuni distaccamenti di lavoro
Aprile 1943: il brigadier Sterling tenta di fuggire dal campo insieme a 11 commilitoni
9 settembre 1943: il campo è occupato dai tedeschi
Presenza dei prigionieri alleati nel campo di Gavi Ligure
Data | Generali | Ufficiali | Sottufficiali | Truppa | TOT |
1.7.1942 | 84 | 2 | 49 | 135 | |
1.8.1942 | 175 | 3 | 50 | 228 | |
1.9.1942 | 181 | 3 | 50 | 234 | |
30.9.1942 | 106 | 4 | 54 | 164 | |
31.10.1942 | 130 | 4 | 54 | 188 | |
30.11.1942 | 144 | 4 | 54 | 202 | |
31.12.1942 | 140 | 4 | 76 | 220 | |
31.1.1943 | 160 | 4 | 57 | 221 | |
28.2.1943 | 167 | 4 | 57 | 228 | |
31.3.1943 | 1 | 163 | 4 | 56 | 224 |
30.4.1943 | 1 | 167 | 4 | 146 | 318 |
31.5.1943 | 1 | 168 | 4 | 251 | 424 |
30.6.1943 | 1 | 172 | 4 | 351 | 528 |
31.8.1943 | 1 | 177[1] | 4 | 464 | 646 |
Storia del campo
Il campo, luogo di reclusione, per punizione, destinato a prigionieri nemici particolarmente indisciplinati, viene insediato all’interno del forte di Gavi, un maniero del X secolo che verrà definito da Roger Absalom e altri “la Colditz italiana”. Effettivamente, un delegato della potenza protettrice noterà che «the many high and thick walls, the vaults and turrets make a certain impression on the prisoners of war transferred from other camps enclosed only by a light wire fence, and it seems as if a closer watch were to be kept over them». [TNA, WO 224/106].
È effettivamente quello che Gavi si propone di fare. Dall’Unità allo scoppio della seconda guerra mondiale, il castello è stato infatti utilizzato come penitenziario civile, con una parentesi durante la prima guerra mondiale, quando detiene prigionieri austro-ungarici. Questa destinazione d’uso viene recuperata durante il secondo conflitto: il forte diventa un campo di punizione destinato principalmente a ufficiali, ma anche un sito di concentramento per prigionieri, di ogni grado, ritenuti particolarmente “riottosi”, “turbolenti” «difficult to manage or who have already tried to escape several times» [TNA, WO 224/106]. L’aspetto esteriore del campo e la sua più che spartana fisionomia interna sono parte della punizione. Così scrive a casa, nel giugno 1942, il capitano Tommy S. Macpherson, appena arrivato a Gavi:
Nonostante Gavi sia un campo destinato, in particolare, a fuggitivi recidivi e aspiranti tali, tentativi di evasione si verificano anche da qui (del resto, lo stesso accade con Colditz). Nell’estate del 1942, poco dopo l’apertura del campo, un certo sergente Mandel scava un tunnel che parte dalla sua stanza e attraversa l’impianto fognario. Il piano viene però scoperto prima che il prigioniero possa metterlo in atto. Tuttavia, è solo l’inizio: entro il settembre di quell’anno vi saranno, infatti almeno una mezza dozzina di tentativi di evasione dal forte. Almeno un’altra fuga si verifica all’inizio del 1943, ma anche questa volta i prigionieri non hanno successo. I tentativi di evasione si realizzano in tutti i modi possibili: con i tunnel, appunto, ma anche con corde fatte di lenzuola intrecciate, o con il mascheramento mediante uniformi italiane originali o ricavate dagli stessi prigionieri. La fuga, come dimostra proprio la storia di Gavi, è una delle principali attività dei prigionieri alleati nelle mani dell’Asse.
Nell’aprile del 1943 tenta di scappare dal forte, con undici commilitoni, il brigadier Douglas Arnold Stirling, comandante della 1st Armoured Brigade in Nordafrica. Stirling viene fermato dalle sentinelle e, a suo dire, dal comandante del campo, il col. Moscatelli, che lo colpisce sul volto, forse involontariamente. I fuggitivi avevano approntato una serie di cunicoli nelle mura e nella cisterna dell’acqua. A parte Stirling e tre compagni, gli altri riescono a uscire dal forte: quattro vengono ricatturati poche ore dopo, ma altri quattro restano alla macchia per giorni, alcuni per un’intera settimana.
Tra i detenuti di Gavi ci sono, dunque, anche alti ufficiali. Uno degli ospiti è il generale Richard O’ Connor, trasferito là da Vincigliata, per punizione (aveva, appunto, tentato la fuga, per l’ennesima volta). Terminato il periodo degli arresti, O’ Connor indirizzerà una vibrante protesta alla potenza protettrice per il cattivo trattamento ricevuto, a suo dire, nel forte. Nonostante i suoi reclami, fonti neutrali ci dicono che agli alti gradi sono destinate «sunny rooms», che ospitano dalle due alle sei persone e nelle quali «each officer can pursue his favourite occupation: painting, sculpture, cabinet-making, etc. A little court-yard is at their disposal. Everything is very well arranged» [TNA, WO 224/106].
Tuttavia, anche a detta di altri osservatori neutrali, gli ambienti del forte sono effettivamente oscuri, umidi e insalubri e i prigionieri sono confinati in celle, che normalmente contengono dai sei ai dodici uomini. Fa molto freddo, ma il riscaldamento è garantito, nonostante le rassicurazioni dei detentori nei mesi estivi, solo da una ridotta quantità di legna. I prigionieri subiscono punizioni collettive – vietate dalla Convenzione di Ginevra – consistenti nel ritiro delle lenzuola dalle brande; le latrine risultano insufficienti e spesso sporche, non adatte a rispondere alle esigenze di uomini che soffrono regolarmente di dissenteria. Nei mesi estivi, ovviamente, le cose sembrano andare meglio, anche se la situazione igienica continua a essere preoccupante perché, come spesso accade in Italia, l’acqua corrente è insufficiente. I prigionieri si lamentano spesso delle condizioni di trattamento, ma le loro proteste sono regolarmente respinte dall’ufficio prigionieri dello Stato Maggiore Regio Esercito, che attribuisce i disagi al fatto che il campo sia in approntamento, la giustificazione usata in Italia ogniqualvolta si tratti di discolparsi per le carenze dei siti di detenzione. Ad ogni modo, il problema principale di Gavi rimarrà, per tutto il tempo del suo funzionamento, l’inadeguato riscaldamento. Considerato che in tutti i campi della penisola i prigionieri soffrono il freddo inverno italiano, la fortezza di Gavi è probabilmente il posto peggiore dove trovarsi in quella stagione. Le autorità britanniche ne faranno argomento di un’accusa per crimini di guerra:
All’inizio del 1943 al campo di Gavi vengono assegnati due distaccamenti di lavoro, a Rocca de’ Giorgi e Montalto Pavese. La manodopera non proviene, però, dal castello, ma dal campo di Pian di Coreglia. Un altro distaccamento, per una ditta di laterizi, è a Montechiaro Denice (AL), e questo forse impiega prigionieri di Gavi (le fonti non sono esplicite).
Il campo cade nelle mani dei tedeschi il 9 settembre. A quanto pare, tre sentinelle italiane vengono uccise, mentre il comandante, il col. Moscatelli, e il resto del suo personale sono fatti prigionieri e deportati (qualcuno, forse, riuscirà a scappare). I prigionieri finiscono quasi tutti in Germania, perlopiù a Colditz. Secondo il marinaio Jack Tooes, che si dà alla fuga, Gavi viene occupata dai tedeschi il 12 settembre, dopo che il comandante italiano consegna i prigionieri ai tedeschi (Absalom).
Con l’occupazione tedesca, il forte viene nuovamente utilizzato, prima per detenervi soldati italiani destinati all’internamento, poi anche come carcere per partigiani e, ancora, prigionieri alleati catturati. La Resistenza riesce a organizzare alcune evasioni, tra le quali quella del generale Raffaele Cadorna, che nel 1944 diviene responsabile militare del Corpo Volontari della Libertà.
Le cattive condizioni del campo di Gavi finiscono, come già detto, nell’elenco postbellico dei war crimes. Tra i criminali compare il nome del col. Moscatelli, la cui cattiva reputazione è imputabile anche al suo diretto comportamento. Stando alle fonti, infatti, Moscatelli permette ai suoi carabinieri di malmenare i prigionieri, e lui stesso non si risparmia, se capita l’occasione. Non si hanno, tuttavia, notizie di un successivo procedimento nei suoi confronti.
Dal 1946 il forte di Gavi è gestito dalla Soprintendenza ai monumenti del Piemonte, ed è un sito turistico molto visitato. Nelle celle sono ancora visibili alcuni graffiti realizzati dai prigionieri.
Fonti archivistiche
- Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Aeronautica, Gabinetto, b. 70, Verbali e Notiziari della Commissione Interministeriale per i Prigionieri di Guerra
- Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione Generale Pubblica Sicurezza, A5G, II GM, bb. 116, 117, 118 e 140, Verbali e Notiziari della Commissione Interministeriale per i Prigionieri di Guerra
- Archivio Centrale dello Stato, Onorcaduti b. 1
- Archivio Ufficio Storico Stato Maggiore dell’Esercito, H8, b. 79
- Archivio Ufficio Storico Stato Maggiore dell’Esercito, L10, b. 32
- Archivio Ufficio Storico Stato Maggiore dell’Esercito, N1-11, b. 843, 1243
- The National Archives, TS 26/95
- The National Archives, WO 224/106, 108
- The National Archives, WO 344/7/1
- The National Archives, WO 361/1878
Bibliografia
- Absalom R., A Strange Alliance. Aspects of escape and survival in Italy 1943-45, Firenze, Olschki, 1991 trad. it. L’alleanza inattesa. Mondo contadino e prigionieri alleati in fuga in Italia (1943-1945), Bologna, Pendagron, 2011
- Barker A. J., Behind Barbed Wire, London, 1974
- Gilbert A. , POW: Allied Prisoners in Europe 1939-1945, London, John Murray, 2006
- Insolvibile I., I prigionieri alleati in Italia 1940-1943, tesi di dottorato, Dottorato in "Innovazione e Gestione delle Risorse Pubbliche", curriculum “Scienze Umane, Storiche e della Formazione”, Storia Contemporanea, Università degli Studi del Molise, anno accademico 2019-2020,
- Makepeace C., Captives of War. British Prisoners of War in Europe in the Second World War, Cambridge, Cambridge University Press, 2017
- Tenconi M., Nelle mani di Mussolini. Prigionieri di guerra, aspetti generali e peculiarità piemontesi, in «l’impegno», 1, 2014 (pp. 59-65)