Ben Ellis
Ben Ellis, un sudafricano di Johannesburg, viene catturato il 20 giugno 1942 a Tobruk, quando la città è conquistata dall’esercito dell’Asse. Non è chiaro esattamente il percorso di Ben, ma sicuramente sosta prima a Bengasi, dove si trova di certo nel luglio 1942, per poi essere trasferito in Italia, nel PG 82 di Laterina. Le condizioni qui non sono buone, e Bill e i suoi compagni soffrono per il freddo, la fame e gli insetti. Solo il 20 febbraio 1943 viene trasferito al PG 120 di Chiesanuova (Padova), più precisamente al distaccamento di lavoro di Saonara.
Dicemmo addio a Laterina, quel buco infernale di miseria, amarezza, frame e squallide condizioni per andare ai nostri nuovi alloggi – un campo di lavoro in nord Italia. Il nostro gruppo era composto da 120 sudafricani, magri, malnutriti, e molti come me coperti di pustole e infiammazioni del deserto, ma di buon umore al pensiero di andarsene da quel buco pestilenziale, dove più di 3.000 uomini erano confinati in un’area di 250 iarde per 175 [228x160m]. […]
Il campo di Chiesanuova oggi
La prospettiva di andarsene innalza il morale, anche se i prigionieri non si fanno troppe illusioni sulla loro nuova sistemazione: «Io e Bob passammo molto tempo a far battute sui lussi che avremmo trovato nel nostro nuovo campo, come bungalow, illuminazione elettrica, lenzuola, etc.» Tuttavia, restarono piacevolmente sorpresi:
[…] invero quando arrivammo ai nostri alloggiamenti scoprimmo che erano in un grosso granaio in muratura, con lampade elettriche e lenzuola sulle nostre cuccette. Penso che i ragazzi al principio non potessero credere ai loro occhi, ma non passò molto prima che ci congratulassimo l’un l’altro per la nostra buona sorte. Ci eravamo appena sistemati quando ci chiamarono al rancio, che consisteva in un enorme bacinella di zuppa di maccheroni, tre volte la razione di Laterina, due pagnotte e un pezzo di formaggio. Sembrò davvero che fossimo arrivati al paese della cuccagna.
Il lavoro, nella tenuta dei fratelli Sgaravatti, non è particolarmente pesante e i prigionieri si rimettono presto in forze. Anche I rapporti con gli italiani sono perlopiù buoni. Sia con Luigi Sgaravatti, soprannominato «Blinky» per la sua abitudine di sbattere rapidamente le palpebre, ma soprattutto con il medico che li visitava regolarmente e forniva loro le notizie della BBC e con uno dei capisquadra, Toni. Spesso, un po’ per furbizia e un po’ con la connivenza di Toni, i prigionieri riescono ad eludere del tutto il lavoro, impegnandosi solo quando sanno che «Blinky» sarebbe passato per un’ispezione «per non far fare una figuraccia a Toni. Ma penso che Toni riuscisse a sentire l’odore di Blinky perché ci avvisava sempre qualche minuto prima che il capo comparisse […]. Manco a dirlo, Blinky pensava Toni fosse il suo caposquadra migliore, perché ci trovava sempre al lavoro.»
La notizia dell’armistizio arriva mentre Bill e i suoi compagni stanno giocando a calcio dopocena, causando grande eccitazione; I prigionieri e le guardie ballano insieme «le guardie erano più eccitate di noi». Il giorno seguente passa in attesa, ma il 10 i prigionieri decidono di fuggire dal campo per evitare di essere presi dai tedeschi che nel frattempo avevano occupato Padova. Bill, insieme a Chick (Geoff Sole), Jack Smith e altri dieci compagni, decide di dirigersi verso Venezia. «I bambini [italiani] ci fecero diventare matti perché ci seguivano e non riuscivamo a scrollarceli di dosso, sembravamo un circo itinerante». Fortunatamente, il gruppo incontra un soldato sbandato che si offre di fare da guida, e raggiunge così il villaggio di Lova[1], sulla laguna. Sia i prigionieri che gli italiani sono a questo punto convinti, erroneamente, che la Royal Navy sia ormai nelle acque venete e due italiani si offrono di portare il gruppo in barca fino a Vanezia. Nel frattempo, sempre più prigionieri arrivarono nella casa sulla palafitta in cui Bill e suoi erano stati alloggiati: «la situazione divenne impossibile, con sessanta o ottanta uomini ammassati lì». Fortunatamente, molti decidono di andarsene. Bill, Jack e Chick discutono della situazione, Bill vuole dirigersi verso sud, ma infine scelgono di restare nella casa per un po’. I loro ospiti sono due ragazze, Maria Ivanchich e Emily. Entrambe parlano inglese «fu bello parlare con qualcuno nella nostra lingua».
I giorni successivi trascorrono in un viavai di prigionieri fuggiaschi, mentre le provviste vanno esaurendosi. Bill incontra il padrone di casa, un ebreo antifascista, che propone al gruppo di portarli a Chioggia ma non trova barcaioli disposti a correre il rischio. La situazione, intanto, si fa sempre più critica, perché appare chiaro che i tedeschi stanno occupando il paese e gli Alleati sono ben lontani da Venezia. Il 17 settembre, infine, Bill e i suoi compagni si mettono in viaggio in bicicletta verso sud, dopo una grande cena di addio preparata da Emily e Maria. I fuggiaschi ricevendo l’aiuto di chi incontrano, sia contadini che proprietari terrieri, tutti ben disposti nei loro confronti. Anche attraversare la pianura piena di canali non è difficile, nonostante la stretta sorveglianza tedesca, grazie all’aiuto della popolazione. Il gruppo si dirige verso la foce del Po, tenendosi vicino alla costa.
Alla fine, arrivammo vicino al Po e trovammo una grossa casa – volevamo un po’ d’acqua calda per una tazza di tè – e fummo invitati a entrare da due ragazze piacenti. […] Ci fecero il tè, ci diedero della frutta e misero a soqquadro la casa per trovarci delle sigarette. Iniziammo a insospettirci quando le ragazze cominciarono a parlare dei tedeschi e di quanto li ammirassero. Notammo che la casa era piana di libri tedeschi. Ci scusammo educatamente e ce ne andammo il più in fretta possibile.
I tedeschi, probabilmente allertati dalle due ragazze, sono vicini, ma non riescono a catturarli. Bill e i suoi compagni si imbattono in un gruppo di soldati italiani sbandati che remano su una barca, cercando di tornare a casa. Questi accettano di buon grado di portarli sull’altra sponda durante la notte del 21 settembre e forniscono loro perfino una mappa. Fino al 23, i fuggiaschi attraversarono la pianura, guadando canali, piccoli fiumi e pantani, fino ad arrivare al mare, dove si fanno un bagno il 23 settembre. Il giorno seguente, Bill e i suoi compagni si dirigono verso Porto Garibaldi, anche se gli italiani li mettono in guardia perché la zona è piena di spie. Tuttavia, gli italiani del luogo sono ben organizzati, probabilmente hanno già assistito altri fuggiaschi, e il gruppo viene fatto passare per il paese senza dare nell’occhio. Sempre seguendo la costa, i tre raggiungono Porto Corsini, poi fanno il giro intorno a Rimini, dirigendosi sui monti. È il 26 settembre, Bill sta marciando da più di due settimane e inizia a patirne gli effetti. I tre continuano ad evitare pattuglie nemiche e a sfruttare l’aiuto della popolazione, ma la marcia si fa più dura. Decidono quindi di raggiungere la repubblica di San Marino «potevamo vederla sulla cima di una montagna. Ho pensato molto a mamma, oggi [27 settembre] – è il suo compleanno!»
Nei giorni successivi, il gruppo inizia la scalata, potendo sempre contare sull’aiuto dei contadini locali, che li ospitano e forniscono loro cibo, anche se molti sembrano spaventati. Tuttavia, la sorveglianza dei nazi-fascisti nella zona è troppo serrata, solo il 29 rischiano di essere catturati tre volte, ed evidentemente il gruppo decide di rinunciare a raggiungere San Marino, perché i fuggiaschi piegano verso sud, con l’intenzione di passare le linee del fronte ed entrare nel territorio controllato dagli Alleati. Il territorio è aspro:
la scalata mette fame. E che montagne sono! Su e giù, tutto il tempo. Abbiamo trovato riparo in una casa sulla cima di una grossa montagna. Hanno preparato la cena apposta per noi – pastasciutta con abbondante purea di pomodori. Un gran piatto che noi tre non riuscimmo a finire […]. È la quantità di vino che si aspettano che uno beva che ci rovina. […] Ho dormito bene – sono stanco morto in questi giorni.
Lungo la strada, i tre incontrano ancora contadini amichevoli, l’occasionale pattuglia di carabinieri e perfino un gruppo di prigionieri jugoslavi alla macchia. La marcia prosegue serrata: «in questi giorni è una montagna dietro l’altra». Tuttavia, il 4 ottobre, Chick inizia a dar segni di debolezza e, ben presto, i suoi compagni si rendono conto che ha contratto la malaria. Il gruppo raggiunge Pergola il giorno seguente, dove vengono alloggiati in una grande casa «per la prima volta, cenammo in una sala da pranzo [separata dalla cucina]». Si rimettono in viaggio, ma procedono lentamente. Il 7 ottobre trovano rifugio presso la famiglia Domenica, che permette loro di riposarsi per un po’, per e a Chick di riguadagnare le forze.
[il capofamiglia] possedeva un gran baffo da tricheco e un paio di occhi brillanti. Un amico è venuto in visita alla famiglia e ha riferito che Pescara era nelle nostre mani – speriamo abbia ragione. […] Ho i nervi a pezzi e sono stanco.
La famiglia, oltre che nutrirli con la polenta, si attiva, grazie ad un conoscente, per procurare del chinino da somministrare a Chick. Nel frattempo, ai prigionieri vengono tagliati i capelli. Solo il 10 la febbre di Chick cala, ma nella zona piove ininterrottamente e non è una buona idea ripartire. Alla fine, i tre si rimettono in marcia il 13, lasciando i Domenica: «la famiglia avrebbe voluto che rimanessimo – erano tutti in lacrime. Il vecchio mi ha sorpreso baciandomi su entrambe le guance. Chick e Jack hanno ricevuto un giro di baci dalle figlie.»
Il 16 ottobre i tre sono nei pressi di Sarnano, ormai sanno di essere vicini al fronte. Hanno ricevuto la notizia di un lancio di paracadutisti nella zona, confermato da vari italiani, e alla fine riescono a trovarli in un villaggio della zona il giorno seguente.
Fu un sollievo vedere quei ragazzi girare a loro piacimento dietro le linee dei Jerry [nomignolo dato ai tedeschi]. Anche se ci preoccupammo che i Jerry potessero mandare truppe per rastrellarli. Ci dissero che il piano era fallito ed erano nella nostra stessa situazione – stavano cercando di raggiungere il fronte.
I tre si lasciano indietro i paracadutisti («viaggiavano con gran calma») che danno loro alcune provviste e indicazioni per raggiungere Pescara quando fosse arrivato la notizia della liberazione della città. Tuttavia, la marcia è sempre più dura: «i monti sembravano peggiorare invece che migliorare». La stanchezza riprende ad accumularsi e a Chick torna la febbre. Nonostante questo, il gruppo procede, potendo sempre contare sul supporto degli italiani, anche in un’area che Bill descrive come molto povera tanto che: «è difficile riuscire a immaginare quanto tutti [gli abitanti] siano poveri». Il gruppo raggiunge il Gran Sasso, ma un italiano consiglia loro di aggirarlo, piuttosto che cimentarsi nella scalata. Il 23 ottobre, i tre decidono di fermarsi in una baracca vuota per far riposare Chick, ma vengono scoperti dal proprietario che li fa trasferire in una fattoria vicina, dove vengono protetti e nutriti fino al 26, quando ripartono.
Il 27 ottobre, il gruppo arriva in una valle «dove centinaia di PoW si nascondevano». Nonostante tutti li sconsiglino dal tentare, i tre si dirigono verso Pescara, nella speranza di passare finalmente in territorio amico. I giorni seguenti li trascorrono nella zona, finché non ricevono la notizia che si sta organizzando un’evacuazione dei fuggiaschi attraverso il fronte. Bill parte il giorno dopo, tra la neve della Maiella, lasciandosi dietro Jack e Chick «odiai abbandonarli, ma mi aspettavo di rivederli sulla costa». Cosa che, in effetti, avvenne il primo novembre. Tuttavia, la nave che avrebbe dovuto prelevarli dalla spiaggia quella notte non si fa vedere, e il gruppo rimane quindi in attesa. Il giorno seguente la situazione peggiora: la nave arriva, ma viene intercettata dai tedeschi e incendiata. «Ci sentimmo tutti delusi e amareggiati». Uno degli ufficiali, scampato alla cattura, li raggiunge, dicendo loro che il piano è fallito e devono cavarsela da soli.
Mentre la maggior parte dei fuggiaschi resta nella zona, nella speranza di poter fuggire via mare, Bill, Jack e Chick decidono di mettersi nuovamente in marcia. Quella notte, sono ospiti di un professore, che li informa che gli Alleati sono ormai vicini a Pescara. Il 5 novembre, i tre sono in prossimità di Chieti, da cui sentono le esplosioni che provengono da Pescara. Ancora una volta, si ripresenta la febbre di Chick e sono costretti a fermarsi, ospitati da una famiglia del luogo. Ormai i tre sono sul fronte, ma passarlo è difficile, perché è una zona di combattimento e brulica di tedeschi. Il 9 novembre Bill e i suoi compagni sono poco più a sud, vicino a Lanciano, e il giorno dopo si mettono in marcia per raggiungere il fiume Sangro.
Proprio all’alba [dell’11] un italiano uscì da una casa. Ci avvicinammo per chiedere la posizione dei tedeschi. Andò Jack a chiedere. Capii che c’era qualcosa di strano perché l’italiano agitava le braccia e sorrideva. Jack tornò indietro con la meravigliosa notizia che i britannici erano appena a mezzo miglio [800 metri], in cima ad una collina. Praticamente corremmo per tutta la distanza.
I tre vengono quindi presi in carico dalle forze britanniche. Bill è finalmente libero dopo quindici mesi di prigionia e due alla macchia. «Che giornata! […] Pensare che dopo tutto questo tempo, SONO DI NUOVO LIBERO».